GROSSETO – Una bambina che sventola il tricolore. È questo uno sei simboli della cerimonia della festa della Liberazione a Grosseto, dove la città è scesa in piazza per celebrare il 25 aprile, la fine della guerra e del regime fascista in Italia. Dopo 72 anni anche la Maremma non dimentica e onora la Liberazione con una cerimonia solenne iniziata questa mattina alle 8,30 con la messa al cimitero di Sterpeto e proseguita poi con al deposizione di corone di allora nei monumenti simbolo di questa festa: al monumento ai Deportati alla Cittadella dello studente, al monumento al Partigiano in piazza della Libertà, al monumento ai caduti del parco della Rimembranza e alla lapide ai caduti partigiani.
Una cerimonia organizzata dal Comune di Grosseto con l’Anpi e la Provincia al quale ha partecipato il sindaco Antonfrancesco Vivarelli Colonna insieme alle più alte cariche delle istituzioni del territorio: il prefetto Cinzia Torraco, il questore Domenico Ponziani, l’inorevole Luca Sani, presidnete della commissione agricoltura della Camera dei deputati, il consigliere regionale Leonardo Marras e i rappresentanti di tutte le forze dell’ordine e delle forze amrate di stanza in Maremma. E con i rappresentanti delle istituzioni erano presenti anche i gonfaloni dei Comuni di Grosseto e Manciano e della Provincia.
Presenti anche i rappresentanti dei movimenti politici e dei partiti e del mondo dell’associazionismo tra cui il neonato Comitato Antifascista, le Donne in nero, il Festival Resistente, ma anche la Cgil e la Rete degli studenti medi. E poi la gente, le famiglie con i bambini per una festa che come ha ribadito anche il sindaco nel suo discorso deve essere una festa di popolo, una festa di tutti.
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Questo il discorso pronunciato dal sindaco Antonfrancesco Vivarelli Colonna.
Oggi siamo ancora più vicini, ancora più uniti, ancora più fratelli.
È bellissimo essere qui, assieme a voi, a rendere onore alla nostra Italia e a chi ha combattuto per renderla libera.
Oggi ricorre il 25 aprile, la festa della Liberazione, la festa del popolo.
Una ricorrenza che parla di noi, della nostra storia, dei nostri errori e della nostra identità, del nostro desiderio di ripartire, ricominciare, rinascere. Della nostra volontà di costruire un futuro migliore. Insieme.
Oggi, potrei dire, celebriamo la rinascita della nostra nazione.
Forse, anche di noi stessi come popolo, come comunità. Come corpo unico che si muove in un’unica direzione, quella del bene collettivo. Un bene che può e che deve essere aperto a tutti, inclusivo, duraturo.
Sì, perché il 25 aprile è uno di quegli avvenimenti che devono essere guardati, da tutti, con rispetto. E oggi, a distanza di così tanti anni, è finalmente possibile leggere tutte le sfumature di avvenimenti che hanno segnato in modo indelebile il nostro passato. Il nostro presente. Il nostro futuro. Tragedie troppo a lungo fatte oggetto di bassa politica.
Il 25 aprile non ha colore. Ripeto: non ha colore. É la festa di ognuno di noi. Come sindaco e come uomo vivo questa ricorrenza senza lacci e lacciuoli dettati da un approccio ideologico che reputo, oggi, sbagliato, vecchio, superato. Un modo di vedere le cose che non mi appartiene, fatto di accuse, imprecisioni, toni beceri.
Stamani, prima di venire a salutare con voi questa speciale giornata, ho ripensato all’essenza stessa del 25 aprile. A cosa deve rappresentare oggi, a così tanti anni di distanza dalla sua nascita, la festa della Liberazione.
La risposta che mi sono dato coincide sempre e solo con una parola: condivisione.
Credo sia quanto mai necessario giungere a una memoria condivisa, una memoria che rispetti i fatti storici e li analizzi con pacatezza, distacco, equilibrio. Non una festa di parte, né un’occasione di odio, scherno.
L’epoca della contrapposizione permanente è conclusa. Si è esaurita. Ogni genere di divisione è stata accantonata. Si guarda oltre, verso un futuro che deve vederci vicini, uniti, fratelli. Milioni di individui pronti a lottare gomito a gomito per valori quali la libertà e la pace, il rispetto del prossimo e la dignità dell’uomo.
La festa della Liberazione può e dev’essere di tutti noi italiani, popolo meraviglioso fin troppo spesso in preda a divisioni, campanilismi, partigianerie.
Le sfide del mondo contemporaneo parlano una lingua a noi, purtroppo, spesso sconosciuta: quella della fierezza, dell’unità, della fraterna amicizia tra connazionali. L’ultimo conflitto mondiale e la sanguinosa guerra civile hanno segnato il nostro Paese e – lo spero – ci ha insegnato qualcosa di utile, prezioso.
La guerra mondiale avrebbe dovuto insegnarci che la violenza non può mai essere la soluzione dei problemi e che l’uomo è davvero l’animale più crudele, spietato, cinico. Una bestia pronta a compiere i più orribili delitti. Per denaro, per potere, o magari per un’ideologia che viene distorta.
La guerra civile, invece, avrebbe dovuto farci capire che un popolo, se diviso, non è mai vittorioso, comunque finisca la battaglia.
Il 25 aprile, la sua solennità che io qui rivendico assieme a voi e quanto voi, non può essere sventolato come una bandiera di parte: finirebbe per essere svilito, ridimensionato, svuotato.
Il 25 aprile può – anzi, deve – essere fulcro e custode di valori quali il bene comune, la tutela dei diritti.
Ma può essere anche un baluardo. Baluardo dei doveri. Di quel che ognuno di noi deve impegnarsi a fare per non lasciare andare alla deriva questa splendida terra che chiamiamo Italia. Che chiamiamo Casa.
Credo che la festa della Liberazione sia un appuntamento di quelli da non perdere. E da non disperdere. Da non mollare in un angolo indefinito. Penso che il 25 aprile meriti di più, perché noi meritiamo di più. I nostri figli meritano di più. E i figli dei nostri figli meritano di più.
Meritiamo una coscienza storica vera, senza pregiudizi, senza ideologie distorte, senza odio e senza eterno rancore. Ma dobbiamo conquistare tutto questo, mettendo in un angolo non il 25 aprile, bensì la bestia che è in ognuno di noi.
Quello che è avvenuto, nella seconda guerra mondiale e nella guerra civile italiana, è avvenuto. Lascio agli storici i giudizi e le analisi. Ma di una cosa sono certo: le diatribe politiche, le stilettate inferte per solo spirito d’appartenenza, devono essere tolte di mezzo.
Questo è un giorno laicamente sacro. Un giorno in cui non vi dev’essere la minima ombra. Il mio compito, come primo cittadino, è quello di rispettare la solennità della Liberazione.
Da parte mia intendo dunque fare di tutto affinché questa giornata sia uno splendido segnale. Un segnale di fratellanza. Di condivisione, appunto. Di amicizia. Una giornata di festa, rispettosa della tragedia che porta dentro sé, ma anche sicura di essere servita a qualcosa, di essere servita a formare, da qualunque parte la si voglia vedere, un’Italia consapevole, matura, post ideologica.
Un’Italia a cui ci sentiamo sempre più vicini, sempre più uniti. E in cui ci sentiamo tutti sempre più fratelli.