GROSSETO – Sul mio profilo facebook ho recentemente condiviso un link che riporta una pagina de l’Unità dove si invita tutti a ricordare il grande significato del 25 Aprile. Con la memoria, alla soglia dei 90 anni, sono andato a rivisitare alcuni episodi che definirei di minore importanza rispetto ad altri più epici, ma che contribuirono anch’essi a formare quel grande mosaico che fu la Resistenza.
I due episodi che voglio ricordare riguardano il paese di Giuncarico che, alcuni giorni prima che giungessero gli americani, come accadde per altri, venne simbolicamente occupato per alcune ore da una formazione partigiana.
L’operazione era abbastanza rischiosa dal punto di vista logistico perché Giuncarico è piuttosto distante dalle macchie di Tirli, che allora davano rifugio alle “Bande partigiane”. Per raggiungerlo infatti doveva essere attraversata la strada Aurelia, esposti alle truppe tedesche che vi transitavano, oltre a dover percorrere ulteriori tratti allo scoperto.
La formazione che occupò il paese si limitò far prigionieri i maggiori esponenti fascisti, colti di sorpresa, ed abbattere i simboli fascisti per poi fare ritorno con i prigionieri alla base di partenza.
Verso l’imbrunire la formazione fece sosta vicino la mia abitazione, adiacente il bosco, ed un partigiano ci venne a chiedere dell’acqua da bere che avevano esaurito.
Nell’occasione poco ci mancò che si verificasse un episodio sgradevole perché, proprio in quel momento, a casa mia erano venuti a rifugiarsi un gruppo di giovani del vicino paese di Caldana, preoccupati dalla presenza in paese di alcuni mezzi motorizzati di tedeschi e repubblichini, forse in conseguenza del blitz a sorpresa appena subito a Giuncarico.
Questi giovani, di cui di alcuni ricordo bene il nome Gastone, Giulio, Cecchino, Nello (come il sottoscritto) si erano messi a bivaccare alle spalle del pagliaio e quando videro il partigiano si alzarono tutti in piedi. Il partigiano puntò contro di loro il mitra intimando il mani in alto. Ci fu qualche istante di tensione, ma poi i buoni uffici di mia mamma aggiustarono le cose.
Fui io ad accompagnare il partigiano, con i fiaschi pieni d’acqua, dove era la formazione e i fascisti fatti prigionieri. Mi colpì particolarmente uno che, evidentemente preoccupato per la propria sorte, veniva colto da svenimenti e una parte dell’acqua che avevo aiutato a trasportare servì anche per rianimarlo. Seppi poi che tali timori si sarebbero rivelati ingiustificati, perché tutti riuscirono a tornare alle loro case.
Più tardi, quando si pose il problema di preparare la cena per quel nutrito gruppo di giovani, i miei genitori pensarono di sacrificare un agnello, che in poco tempo fu ammazzato, spellato, cotto e mangiato con piacevole fervore, anche se le carni avrebbero avuto bisogno di un po’ di tempo per frollare a sufficienza. il tutto fu consumato fuori casa alla luce dei “bengala” che gli aerei americani lanciavano per bombardare l’aeroporto di Grosseto e le stazioni di Grosseto e Montepescali. Non erano tempi e circostanze compatibili con gli scrupoli vegani odierni, in cui ci si fa riprendere ad allattare gli agnellini per lucrare qualche voto in più.
L’altro episodio che voglio ricordare si verificò sempre a Giuncarico, il giorno precedente l’arrivo degli americani. Grosseto era stata liberata e le truppe alleate si erano attestate pochi chilometri a nord, nella zona di Braccagni. Nel pomeriggio due mezzi motorizzati tedeschi fecero un breve sosta sotto gli ulivi nelle vicinanze del paese e si presume siano stati individuati dalla “Cicogna”, un monoplano da ricognizione che esplorava il terreno oltre la linea del fronte, e che poi li abbia segnalati a chi di dovere.
Fatto sta che, sebbene i due mezzi avessero ripresero la loro marcia verso nord, l’uliveto fu preso egualmente di mira da un intenso cannoneggiamento, visibile e udibile per un raggio di diversi chilometri la popolazione era spaventata e preoccupata dagli scoppi delle granate che avrebbero potuto portare anche a gravi conseguenze se gli artiglieri avessero modificato il tiro.
Toccò a Lorenzo Taddei (che poi divenne segretario della sezione comunista) insieme ad un altro compagno di cui non ricordo il nome, issare uno straccio bianco ad una canna fissata al manubrio della bicicletta e precipitarsi incontro alle truppe alleate per avvisarle che il terreno era sgombro dalle truppe tedesche e che potevano procedere senza intoppi nell’avanzata, che infatti poco dopo effettuarono.
Ecco la Resistenza ebbe sicuramente molti episodi epici ma anche questi minori che contribuirono al suo successo.