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Nel momento in cui l’autorevolezza della politica è sotto la linea di galleggiamento del Paese, ci sono in giro per l’Italia segnali di ripresa della mobilitazione civica. Forse l’unico antidoto in questo momento possibile allo stato anestetico in cui è precipitata la voglia delle persone di partecipare alla vita della propria comunità.
Quella appena trascorsa è stata una settimana emblematica. Dj Fabo se n’è andato a morire in Svizzera accompagnato da Marco Cappato, tesoriere dell’associazione “Luca Coscioni”, perché in Italia, dove ogni anno si suicidano 4.000 persone, è vietata l’eutanasia a chi ha una malattia incurabile, mentre non si riesce nemmeno ad approvare uno straccio di legge sul testamento biologico.
Una donna di Padova che voleva procedere a un’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) è stata respinta da 23 strutture sanitarie del Veneto, prima che la Cgil intervenisse per consentirle di esercitare il suo diritto a una prestazione sanitaria. Mentre pochi giorni prima i benpensanti di matrice cattolica sono insorti perché al San Camillo di Roma è stato bandito un concorso per l’assunzione di due medici non obiettori di coscienza, con l’obiettivo di garantire un servizio pubblico troppo spesso inesigibile.
Venerdì mattina, a Brozzi, periferia fiorentina, un padre di 84 ha ucciso a fucilate la moglie di 82 e la figlia tetraplegica di 44, prima a sua volta di suicidarsi. Ennesima tragedia annunciata dell’isolamento in cui precipitano le famiglie con figli disabili gravi.
A Rignano garganico, in Puglia, infine, è andata a fuoco la gigantesca baraccopoli che ospita i braccianti extracomunitari sfruttati al nero per il lavoro agricolo.
Cosa c’entra tutto questo con Grosseto e la Maremma? “Tutto tutto, niente niente” direbbe forse Cetto La Qualunque, alias Antonio Albanese. Anche se l’argomento è più che serio.
C’entra come per qualunque altra comunità italiana in giro per la penisola. Perché i temi dei diritti civili, della presa in carico delle persone più fragili, della libertà di autodeterminarsi, riguardano tutti noi. E prendersi ognuno il proprio pezzetto di responsabilità fa bene alla convivenza civile, ma ci salvaguarda tutti, anche singolarmente, rispetto a qual che nella vita può capitare.
Per quanto frustrante sia constatare come in questo omissivo Paese serva sempre la vittima sacrificale di turno per resuscitare un po’ di passione civile, è inutile recriminare o accanirsi. Serve invece ricominciare a mobilitarsi.
L’8 marzo, mercoledì prossimo, è l’occasione giusta. Non solo perché è la giornata della donna, ma perché quest’anno il movimento internazionale neofemminista “Non una di meno” ha organizzato in tutto il mondo una manifestazione per contrastare in positivo la subcultura violenta che in Italia nel 2016 ha prodotto 118 femminicidi, uno ogni tre giorni e mezzo. In un Paese nel quale le giovani ragazze spesso disconoscono con superficialità le conquiste del femminismo, e altrettanto spesso finiscono per essere oggetto di bullismo, molestie sessuali e discriminazioni sul lavoro.
Mercoledì prossimo a Grosseto si svolgerà un corteo da piazza Rosselli a piazza Dante al quale sono stati invitati a partecipare associazioni di ogni tipo e cittadini. Un’occasione per dimostrare che certi principi ci riguardano tutti da vicino, e che abbiamo a cuore la qualità della vita e delle relazioni umane nella comunità in cui viviamo.
D’altra parte, a Grosseto come altrove, il problema dei maltrattamenti e delle violenze sulle donne è un dato oggettivo. Dal 2002 ad oggi sono sette i femminicidi consumati in provincia, l’ultimo all’Argentario lo scorso 16 febbraio. Mentre nel 2016 sono state un centinaio le donne assistite dal centro anti violenza gestito dall’associazione Olimpia De Gouges.
Visto che possiamo vantare la messa a punto del protocollo del Codice Rosa, replicato in tutta Italia, forse mercoledì è il caso di andare a manifestare con un po’ di sano orgoglio. All’insegna della partecipazione e dello spirito civico.