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Nel retrobottega del supermercato Lidl d Follonica è successo a due donne Rom d’esser chiuse nella gabbia dei cibi avariati, per poi venire filmate e derise sul web. Ma poteva succedere a una ragazzina d’esser malmenata e filmata dalle coetanee all’insegna del crudo bullismo adolescenziale. Oppure, com’è già avvenuto, avrebbe potuto succedere a una persona disabile d’essere allontanata da un locale perché antiestetica e quindi sgradita. Non cambierebbe assolutamente nulla. Perché sono tutte manifestazioni della stessa patologia culturale: l’emarginazione del diverso, violenta ed esibita. Violenta perché esercitata con l’uso della forza. Esibita perché chi non posta video sul web è come non esistesse.
È così facile prendersela con i Rom, così sudici, importuni e scostanti, con quei bimbi incolpevoli usati come esca per l’elemosina, che vale comunque la pena difenderli. Anche andando controcorrente. Perché le Rom che a Follonica sono state maltrattate e schernite sono solo il pretesto, non la causa. Un pretesto come un altro, appunto.
Quello che è successo a Follonica, infatti, non è accettabile a prescindere. Perché se passa l’idea che è sopportabile perdere il senso d’umanità e che ognuno può farsi giustizia da sé, ogni volta trovando un alibi al proprio comportamento, c’infileremo in un tunnel che porterà alla moltiplicazione senza barriere di violenza e rancore sociale. Quella forma di violenza legittimata dal sentirsi maggioranza, e per ciò stesso a ergersi a paladini, presunti, della volontà dei più nei confronti di una minoranza, o del più debole di turno. Oggi i Rom, domani chissà….
A ben guardare che differenza c’è tra i due compiaciuti giustizieri de noantri sentitisi in dovere di imprigionare e filmare le due zingare a Follonica, rispetto al ragazzo della padovana Elisabetta Sterni che si è sentito libero di diffondere via whatsup il video hot che la ragazza con cui aveva una relazione gli aveva inviato? Nessuna. Entrambi i comportamenti sono figli della stessa identica cultura della sopraffazione, dell’affermazione violenta della propria volontà, dei propri desideri malati. Lo stesso brodo di coltura che giustifica le “lezioni” date agli omosessuali che si manifestano come tali, che arma la mano di chi si macchia di femminicidio, di chi organizza i pogrom contro gli stranieri.
Xenofobia e razzismo, omofobia, sessismo e machismo, sono le tante variabili di un’unica carsica subcultura della prepotenza, che di volta in volta affiora in superficie e sfoga le proprie frustrazioni contro la minoranza o la categoria sociale “deviante” di giornata. Una subcultura pericolosa che si nutre di falsi miti e banalizzazioni culturali, di agnosticismi da bar sport e grossolane distorsioni della storia.
Il problema è che oggi questa subcultura, sempre esistita, incrocia le insicurezze generate dalla globalizzazione e dalla stagnazione economica. Con il grottesco effetto che quasi sempre in certi episodi di cronaca del tipo di quello di Follonica, i carnefici sono appena poco più su nella piramide sociale delle loro vittime. Inconsapevolmente ed erroneamente vissute come il proprio competitore sociale. Nella cornice del più ovvio cliché della guerra tra poveri.
Uno scontro fittizio che viene alimentato biecamente dai piccoli impresari politici della paura come Matteo Salvini e i suoi epigoni, alla ricerca costante in giro per l’Italia di episodi da cavalcare per lucrare qualche decimale in più di consenso elettorale. Così che, fra qualche mese, magari le povere vittime del cosiddetto buonismo radical chic di sinistra troveranno posto nelle liste della Lega, o di qualche formazione “sovranista”. Naturalmente come campioni dell’italianità contrapposta alla globalizzazione.
Insomma, tutto si lega. Basta guardare le cose per quello che sono. Per questo i Rom non costituiscono il vero problema. Mentre il problema, in questa temperie, è che ognuno di noi, per un motivo o per un altro, potrebbe trovarsi a vestire i panni del Rom.