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Panta rei (tutto scorre, siamo d’accordo), ma qualche domanda sulla fioritura del sottobosco di organizzazioni neofasciste a Grosseto forse è il caso di farsela.
Con una premessa: la Democrazia è una cosa seria, e quindi è giusto ne fruiscano anche coloro che non se la meriterebbero. O che non hanno gli strumenti culturali per apprezzarne i benefici. Come i cosiddetti fascisti del terzo millennio o i neofascisti 2.0. Insomma quelli lì.
D’altra parte, nel nostro ameno e amato Paese, come in ogni angolo del mondo, le sub-culture politiche sono sempre esistite. Finora erano confinate nella loro riserva e alla fine ignorate, tanto non erano in grado di nuocere. Oggi c’è qualche preoccupazione in più, se non altro perché escono allo scoperto, pontificano e ottengono, nientepopodimeno, seggi in Consiglio comunale. Com’è successo a Grosseto. Prima mimetizzandosi nella lista di Fratelli d’Italia (formazione nostalgica in cui il culto del duce è professato in modo riservato), poi finalmente emancipandosi per scissione con un proprio gruppo consiliare e aprendo la sede ufficiale di Casa Pound. Organizzazione nazionale di bravi ragazzi dedita alla difesa dell’italianità e amenità simili. Peraltro, tutte cose già viste. E ora, deo gratias, arrivate anche in provincia.
Casa Pound, però, non è l’unico gruppetto d’ispirazione neofascista attivo a Grosseto. C’è anche Forza Nuova, che nel maggio scorso, per capire il livello, si esibì in piazza Rosselli con un epico striscione: “Grosseto non sarà come Londra” (sic). Ovviamente per esecrare l’elezione a sindaco della capitale inglese di Sadiq Khan, laburista inglese, musulmano e d’origine pachistana.
Al di la del folklore, però, questi gruppetti si distinguono per argomentazioni xenofobe, sessiste, omofobe e negazioniste. Generalmente tendenti a coartare la libertà delle persone, e usando un linguaggio aggressivo o peggio violento. La qual cosa pone più d’un problema rispetto a come la città di Grosseto – nelle sue diverse dimensioni politiche, sociali, culturali e mediatiche – si relaziona con i suddetti interpreti del neo autoritarismo fascistoide.
Un primo livello di responsabilità è quello politico. Il sindaco Vivarelli Colonna sapeva benissimo chi fosse Gino Tornusciolo – lìder maximo de La Deceris, organizzazione della galassia di Casa Pound – al momento in cui si è candidato nelle liste di Fratelli d’Italia. Non l’ha fermato allora, figurarsi se avrà il coraggio di farlo ora. Deve solo sperare che ‘decerini’ e ‘forzanovisti’ non ne combinino troppo grosse. Ma questo non lo assolve da una responsabilità precisa: aver legittimato politicamente formazioni di chiara ispirazione neofascista, delle quali peraltro non aveva alcun bisogno. Non potrà dire d’esser stato da un’altra parte.
Se Sparta piange, Atene non ride. Il Centrosinistra, a sua volta, pecca d’inefficacia grave. L’antifascismo di maniera non ha più senso, e urlare “fuori i fascisti da Grosseto” è acqua fresca. O si denunciano atti e dichiarazioni contra legem, se ci sono, oppure la strada è un’altra. Si combatte sul piano dei contenuti, mettendo politicamente alla berlina l’assurdità di certe pretese posizioni politiche. Cosa tra l’altro non difficile, considerata la caratura dell’avversario.
C’è poi il piano culturale. Il ventre molle di Grosseto, quello che nel XX secolo era il ceto medio, ha perso il senso di sé e anche la strada di casa. Impaurito dalla ritirata delle certezze economiche e incarognito con la globalizzazione, ormai digerisce qualsiasi cosa. La responsabilità è condivisa dai gruppi dirigenti diffusi nelle organizzazioni professionali, economiche e sociali, autoassoltisi con l’alibi che il contrasto alla delegittimazione dei valori condivisi riguardasse solo la politica. Proprio nel momento in cui la politica risultava non pervenuta. Per fare un esempio: tutti quelli che non hanno ancora fatto pace con la storia di questo Paese, e che da posizione sociale rispettabile continuano a schifare il 25 Aprile e il 1° Maggio perché sono le feste di “una parte”. Oppure la Resistenza.
Infine c’è il ruolo dei media. Se nel giochino giornalistico di fine anno del “chi sale e chi scende” si mette fra quelli che salgono il capobastone locale di Casa Pound, significa che per inseguire lo “scoop” (sai che scoop) se ne sottovalutano le conseguenze. E tutto diventa passabile.
Un esempio degli effetti collaterali (ma quanto?) di questa grande amnesia culturale collettiva, è quel che è successo a Simone Giusti. Intellettuale intransigente e scomodo, ma senza dubbio fortemente dotato, che è stato estromesso dalla Fondazione Grosseto Cultura con l’accusa medioevale di scurrilità & blasfemia. Oltretutto da un “presidente per caso” che quanto a volgarità sessiste (prive d’ironia) potrebbe vincere il Pulitzer.
Ad ogni modo, chi vivrà vedrà se a Grosseto i fascisti su Marte avranno o meno un ruolo significativo.
Per scaramanzia, non guasta concludere con un evergreen di Bertold Brecht.
Non si sa mai:
Prima di tutto vennero a prendere gli zingari. E fui contento perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei. E stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti, ed io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare.