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Può l’abbattimento dei pini di via Uranio diventare a Grosseto oggetto di discettazione politica? I due arzilli e caustici vecchietti del Muppet Show – Statler & Waldorf – risponderebbero con un’altra domanda. «The questioni is: who cares?». Ovvero, «la domanda è: frega qualcosa a qualcuno?».
Eppure sì, a questa domanda bisognerebbe dare una risposta plausibile. Perché, onestamente, che l’abbattimento di una trentina di pini diventi argomento di prolungata e accesa tenzone “politica”, con due fronti opposti che raccolgono le firme pro o contro, è davvero il sintomo di una patologia sociale grave. Oramai una pandemia.
La risposta, ovviamente, è NO. Un NO bello tondo. E non perché le persone non abbiano diritto a interessarsi di verde pubblico, o perché quello della manutenzione dei pini in città sia un tema minore. Non è questo il punto. E nemmeno è il caso di perder tempo a strologare sulle claudicanti strumentalizzazioni politiche. Quelle ci sono state, ci sono e ci saranno. Ma lasciano il tempo che trovano.
Il tema riguarda ciascuno di noi sotto un altro profilo, più generale. Come è possibile che una scelta ovvia – abbattere pini le cui radici sfasciano marciapiedi, strade e fognature, sostituendoli con altre piante meno invasive – diventi così divisiva e susciti tanto farsesco astio? Con vette di demagogia sublimata da filosofi della botanica, giardinieri free climbers, esegeti della potatura e sacerdoti del contenimento dell’apparato radicale del pino domestico? L’allegra compagnia di giro che anima questa vicenda.
La risposta è quasi banale. Oramai è smarrito il senso del limite (e del ridicolo) e in assenza di un’etica condivisa diventa centrale la prepotenza della visione personale, parziale. Il singolo è talmente ebbro di sé da pensare di poter discettare su tutto. Così che quel che interessa un manipolo di persone, diventa una verità cosmica. Pretesto ideale per ingaggiare la battaglia della vita, su un tema auto-percepito come determinante per la comunità. In verità affatto disinteressata, ovviamente.
Quel che interessa, tuttavia, è indagare la causa scatenante di certi eclatanti fenomeni di sprezzo del ridicolo e livorosa mobilitazione. Perché scava scava si scopre che la scomparsa di un orizzonte condiviso coincide con un atteggiamento di biliosa sfiducia verso il prossimo: nessuno si fida più di niente e di nessuno. Tutti si sentono legittimati a lamentarsi, nessuno vincolato a una responsabilità collettiva (quella individuale è da tempo desaparecida). Una specie d’involuzione della specie emotiva e arazionale – darwinismo all’incontrario – col ritorno allo stato di natura primordiale all’insegna della deresponsabilizzazione generalizzata. All’homo homini lupus, terreno di coltura ideale per il populismo. Che a sua volta ha due variabili: quello politico/istituzionale e quello dal basso. Alimentato più o meno consapevolmente dalla “ggente”.
Una deriva progressiva, per cui ogni scelta diventa contestabile, nessuno è più autorevole, e per ogni questione arriva su piazza l’homo faber di turno (l’uomo forte?). Paladino immaginario dei diritti e delle aspirazioni della maggioranza degli oppressi. Della “rava” e della “fava”. Dalle cose più serie a quelle più facete.
È così che, tornando ai famigerati pini di viale Uranio, a giardinieri e tecnici del settore verde pubblico del Comune non viene più riconosciuta la legittimità ad operare, si pretendono la convocazione di assemblee d’esperti (sotto l’egida dell’Onu?) e la revisione di regolamenti. In un crescendo fantozziano. Un po’ quel che successe, solo per citare un altro episodio, al momento dell’abbattimento di un’ala del vecchio ospedale di via Saffi, nel centro storico di Grosseto. Quando un gruppo di benpensanti alimentò polemiche al calor bianco contro l’amministrazione comunale, preoccupatissimi per la scomparsa di un brutto e fatiscente edificio di nessun pregio architettonico, ma nel quale erano nati tanti grossetani. E che quindi rappresentava la memoria cittadina (sic). Gli stessi che, peraltro, oggi tacciono di fronte all’abbandono dell’area che doveva diventare un parco pubblico sulla pianta del giardino che lì c’era nel XVIII secolo.
Questo malmostoso umore collettivo dalle molteplici variabili, ad ogni modo, non impedisce al vero spirito civico di manifestarsi all’insegna del buon senso. L’associazione “Dritti alla Meta”, ad esempio, ha fatto cose egrege nel sottrarre al degrado pezzi di città. La Pro Loco di Marina di Grosseto che ripulisce le pinete demaniali. Mentre “Grosseto al centro” con una raccolta di firme è riuscita a far illuminare e a dotare di isole salva pedone alcuni pericolosissimi attraversamenti pedonali in via della Pace e via Giusti-Giulio Cesare. Esempi concreti di operosità civica, basata sul buon senso e senza pretese, diciamo così, palingenetiche.