GROSSETO – Parlare di Sarajevo senza dedicare un’intera pagina all’Islam sarebbe come voler raccontare Roma ignorando piazza San Pietro. Le moschee nella capitale bosniaca sono dappertutto: a pochi metri l’uno dall’altro, nella Old Town i minareti svettano impetuosi, come a dominare una città scandita dai canti dei muezzin. Proprio il muezzin è chiamato ad arrampicarsi cinque volte ogni giorno sul minareto per “salmodiare” il richiamo che serve a ricordare ai fedeli l’ora della preghiera.
Nel nostro racconto scegliamo quattro moschee tra le tante sui cui potremmo concentrarci nella sola Stari Grad. La moschea Ali-Pasha, costruita nel 1561 e restaurata nel 2005, ha come particolare quella di ospitare al suo esterno un cimitero nel quale sono seppelliti Avdo Sumbul e Behdžet Mutevelic, combattenti contro l’occupazione austro-ungarica.
La già raccontata moschea Gazi Husrev-Beg risale invece al 1531. La sua cupola centrale, i tetism, le cupole laterali e soprattutto il minareto altro 45 metri svettano in tutta la Old Town. E’ uno dei più importanti esempi di architettura islamica della Bosnia e dell’ex impero Ottomano: al suo interno ospita una fontana, una sala per la preghiera e una per il lavaggio. Davanti c’è il museo annesso alla moschea, che nelle preghiere più frequentate si riempie di fedeli: non è raro vederne molti anche all’esterno.
La Čaršijska džamija o moschea della čaršija, ovvero della piazza principale, s’innalza invece proprio accanto a Sebilj e rappresenta uno dei monumenti più significativi in tutta la città vecchia.
L’ultima delle moschee di cui vogliamo parlare è la moschea dell’Imperatore o Careva Džamij. Risale al 1457 ed è la prima costruita in Bosnia dopo la conquista dell’Impero Ottomano: è anche la più grande ad una sola cupola del paese. Dedicata prima al sultano Maometto II, fu distrutta alla fine del 1.400 e poi ricostruita nel secolo successivo e stavolta dedicata a Solimano Il Magnifico. Ha subito danneggiamenti sia durante la Seconda Guerra Mondiale che durante la Guerra di Jugoslavia, ma non ha mai cessato di rappresentare un punto di riferimento fondamentale per la città.
Se vi capita di visitarla provate a cercare Selim, il muezzin della moschea. Fortunatamente ci sono persone che ricordano come le differenze religiose siano quasi sempre soltanto un pretesto che uomini litigiosi usano per prendersela con altri uomini: Selim è una di queste. Non importa che condividiate cosa pensa della religione o di Allah, vi conquisterà con la gentilezza e la dolcezza dei suoi occhi e delle sue parole. Per lui la moschea è una parte fondamentale della vita, il padre era uno dei muezzin più importanti di tutta la Bosnia Erzegovina e adesso sta tramandando il mestiere al nipote. “Selim, ma tu non hai mai dei giorni liberi? Sei sempre alla moschea per tutte le preghiere?”. “Certo che avrei dei giorni liberi – risponde con il solito sorriso sulle labbra – ma io non abbandono mai la mia religione e i miei fedeli. Pregherei comunque a casa, quindi lo faccio in moschea. Poi, a fine giornata, torno dalla mia famiglia, da mia moglie e dai miei figli”. “Sai che in Europa è un momento difficile nel rapporto con l’Islam, tu cosa ne pensi?”. “Chi uccide nel nome di Allah non è un musulmano – assicura il muezzin – nella nostra religione non si può uccidere. E uccidere è un uomo è un peccato grave quanto uccidere tutti gli uomini sulla Terra”.
C’è un messaggio di speranza, da custodire e riportare in Italia dopo aver visitato questa città magica. Quello che si raccoglie nelle parole di Selim, ma anche di tanti altri musulmani che – cordialmente – accolgono i turisti di ogni nazione e religione. E anche nella Galleria 11/07/1995, aperta proprio accanto alla Cattedrale Cattolica, che racconta con una serie di suggestive fotografie il massacro di Srebrenica e con un film l’assedio di Sarajevo. Il documentario si conclude con la voce di una bambina a cui la guerra ha portato via tutto, ma non la speranza: “Io sono musulmana, ma qualche volta vado in chiesa. Ho amici cattolici. Dio è uno soltanto, non importa come lo chiamiamo, perché è il Dio di tutti”.