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La vecchiaia, specie se associata alla non autosufficienza, è uno degli spauracchi dei nostri tempi. Fantasma che tutti esorcizziamo, illusi che i progressi della medicina scongiurino l’arrivo del periodo della vita meno ambito. Eppure i vecchi, chiamiamoli col loro nome che è più coerente, costituiscono oramai oltre un quarto della popolazione della Toscana [fra le regioni più longeve del pianeta]: nell’area della Asl Toscana Sud Est, Grosseto-Siena-Arezzo, gli ultra 65enni sono il 25,5% della popolazione residente e gli ultra 85enni il 17%. In entrambi i casi al di sopra della media regionale.
Una situazione che oramai da anni sta mandando in tilt il tradizionale modello di welfare, basato su strutture residenziali come le Rsa [2.836 persone nella Asl Toscana Sud Est nel 2015] e l’assistenza domiciliare [25.932 persone]. La risposta al collasso dello stato sociale ‘vecchio conio’ è sotto gli occhi di tutti: il boom delle cosiddette “badanti”: nel 2015 in Toscana i lavoratori domestici (in massima parte donne, per l’80% stranieri) con contributi Inps erano oltre 75.000 e quelli inquadrati come badante oltre 39.000. A questo spaccato regolare, secondo recenti stime dell’Istituto Irs di Milano, vanno aggiunte circa 45.000 badanti irregolari. Arrivando a un universo complessivo di 84.000 operatori dell’assistenza sul territorio regionale. Nelle tre province di Grosseto-Siena-Arezzo [Asl Toscana Sud Est] nel 2015 risultavano 9.122 badanti e 7.412 colf registrati/e all’Inps. Più la quota irregolare.
Grosseto città, ma un po’ tutta la provincia, non fa eccezione alla regola. Anzi è “la regola” proprio. L’invecchiamento della popolazione si tocca con mano, basta guardarsi intorno. Interi isolati nei quartieri cittadini abitati solo da anziani o vecchi. Giardini pubblici colonizzati dalle badanti nell’ora d’aria. Penuria endemica di bambini, che fino a vent’anni fa scorrazzavano ovunque. Prevalenza imbarazzante di capigliature canute. Contesto sociale coerente con i 32.000 disoccupati iscritti al collocamento, e con la quota esorbitante di pensionati rispetto alla popolazione attiva.
Insomma, il lazzo è brutto. Perché, aldilà di altre considerazioni, in prospettiva le cose peggioreranno. Con un aumento inesorabile dei vecchi e una diminuzione della speranza di vita in buona salute: negli ultimi anni anche le donne, diversamente da quanto succedeva prima rispetto agli uomini, cominciano a contrarre patologie invalidanti più precocemente.
A dare un’idea precisa del fenomeno, ancora una volta, i numeri. In tutta la Toscana sono oltre 200.000 le persone con più di 6 anni che hanno limitazioni funzionali (confinamento, difficoltà nel movimento, difficoltà nelle funzioni della vita quotidiana , difficoltà della comunicazione) di cui circa 170.000 tra gli anziani (84% del totale) e il resto disabili. Nell’area Sud-Est [Grosseto-Siena-Arezzo] la stima complessiva è di 50.373 persone non autosufficienti.
Come se non bastasse, c’è il problema demografico della composizione dei nuclei familiari. Le famiglie toscane sono composte in media solo da 2,3 persone, ma i nuclei monofamiliari sono il 32% del totale. Metà di queste ultime sono composte da anziani soli: circa 233.000, costituite per tre quarti da donne e per circa il 67% da over 74. Il territorio della Sud-Est, dove sta Grosseto, è quello con la maggior presenza di over 65 e grandi anziani, e dunque, presumibilmente, quello dove si riscontrerà nel prossimo futuro una maggiore incidenza di disabilità e non autosufficienza. Quello in cui la pressione sui care giver (indice di carico dei grandi anziani e indice di dipendenza anziani) è attualmente più pesante. Ma soprattutto, quello dove – stanti le più recenti trasformazioni delle reti familiari e la contrazione delle risorse del welfare pubblico – si riscontreranno le criticità più consistenti in termini di tenuta del sistema di protezione per disabilità e non autosufficienza.
Allora, in definitiva, come se ne cavano le gambe? Ragionare solo di quattrini sarebbe miope. Perché i soldi non basterebbero mai, e se anche ci fossero non risolverebbero il problema. Perché far i tanti, ci sono anche il problema dell’umanizzazione dell’assistenza e quello della qualità delle relazioni umane. Temi sottaciuti colpevolmente, con un mercato delle vacche del lavoro di cura [care giver] sempre più delegato alle badanti, spesso organizzate in veri e propri racket per appartenenza etnica, e le famiglie lasciate da sole allo sbando.
Ipotizzando un percorso, più che una soluzione. O le comunità si riappropriano alla svelta di un’etica della responsabilità condivisa nei confronti delle persone anziane e non autosufficienti, integrando la rete dei servizi e dove c’è quella familiare, oppure presto salterà il tappo al vaso di Pandora.
Prendiamo Grosseto città. Qui esistono organizzazioni no profit con un grande tessuto popolare alle spalle: il Comitato per la Vita, che dota l’ospedale di attrezzature mediche oncologiche, la Farfalla, che garantisce cure palliative ai malati di tumore, la Fondazione Il Sole, che opera nel campo delle disabilità, la Caritas, che si prende carico di povertà e marginalità. Ma anche altre. Ecco, quello è il modello.
Nei prossimi anni potrebbe nascere un soggetto no profit che si occupi in modo popolare di anziani e non autosufficienza, in modo più capillare e strutturato di quanto non facciano i tradizionali Centri anziani. Organizzando reti solidaristiche su base di quartiere, meglio per blocchi omogenei di isolati, garantendo l’erogazione gratuita di piccoli servizi di prossimità, attività di socializzazione e di contrasto al degrado. Con un approccio molto operativo, ispirato alla “riqualificazione” delle relazioni umane e allo spirito comunitario. Orientato a ricostituire l’humus sociale tipico dei paesi e dei piccoli centri periferici. Solo all’interno della città.
Certo, non sarà una cosa semplice. Soprattutto perché certe sfide si giocano sulla disponibilità del capitale sociale e sulla generatività sociale, che spesso sono più difficili da trovare dei capitali finanziari. Ma è difficile, onestamente, pensare ad altre soluzioni. Difficile ma non impossibile.
Ad incombere è la variabile tempo. L’orologio gira e non c’è tempo da perdere.