di Adele Acquisti Infermiera Master in Coordinamento per le Professioni Sanitarie Operatrice specializzata in Taping Elastico®
GROSSETO – “Quando la vita rovescia la nostra barca, alcuni affogano, altri lottano strenuamente per risalirvi sopra. Gli antichi connotavano il gesto di tentare di risalire sulle imbarcazioni rovesciate con il verbo «resalio». Forse il nome della qualità di chi non perde mai la speranza e continua a lottare contro le avversità, la resilienza, deriva da qui.” (Pietro Trabucchi, Resisto dunque sono, 2007)
Un termine sconosciuto a molti, quasi impronunciabile e spesso scambiato con la parola cugina resistenza. La resilienza però non è solo una parola, ma una capacità ed è usata come tale in vari ambiti, dai materiali metallici, per indicare la resistenza alla rottura dopo una sollecitazione dinamica, ai tessuti, come l’attitudine di questi a riprendere, dopo una deformazione, l’aspetto originale. Il termine opposto è fragilità, infatti più questi materiali sono “resilienti”, più assumono pregio. In qualsiasi ambito venga usata questa parola, ingegneria, informatica, arte, ecologia, biologia, essa definisce un tratto positivo che caratterizza l’oggetto preso in esame.
Questo termine è inoltre molto in uso negli ambiti della salute della persona, che come definisce l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) non riguarda solo il benessere fisico, ma anche psichico e sociale. La resilienza in questi ambienti indica la capacità dell’individuo di far fronte in maniera positiva alle avversità che la vita ci mette di fronte.
La resilienza consiste nel non perdere la forza di rialzarsi anche quando tutto intorno a noi sembra crollare, aggrapparsi con forza alla vita e non darla per scontata, vedere ciò che di drammatico ci sta accadendo come una sfida per migliorare e non come una catastrofe di immani dimensioni. Ad ognuno di noi accadrà o è già accaduto di dover attraversare un brutto periodo ed è proprio con la consapevolezza che “non c’è notte che non veda il giorno”, come afferma lo psicologo Giorgio Nardone, che non dobbiamo mai arrenderci alle circostanze che sembrano sovrastarci.
Beh, detta così sembra semplice, tutto molto chiaro in teoria, penserete, ma in pratica?
Infatti, è proprio questo il punto. La resilienza va innaffiata, come un piccolo alberello di olivo, che mese dopo mese grazie al vostro nutrimento diventerà un vero e proprio albero, dove potrete raccogliere il frutto delle vostre attenzioni e perché no, usufruire della sua ombra per rilassarsi un po’ sull’erba. Bisognerebbe iniziare col vedere il bicchiere mezzo pieno sempre e comunque, perfino nelle piccole avversità quotidiane, accogliere in maniera positiva anche il più piccolo dei traguardi raggiunti, non prendersela troppo con noi stessi dopo un fallimento, coltivare un po’ di sano egoismo, rafforzare la propria autostima. Come queste, esistono varie strategie per innaffiare la nostra resilienza, ma solo prendendosene cura possiamo essere certi che qualsiasi cosa accada possiamo contare su noi stessi, che in un modo o nell’altro rinasceremo dalle ceneri come l’araba fenice. Un individuo resiliente, che subisce un trauma, sia esso fisico, psicologico o sociale, trova in quell’avvenimento un’occasione per mettere sul banco di prova le proprie capacità, riuscendo così a fronteggiare le avversità, rafforzando e arricchendo la propria esistenza grazie a questa esperienza. Oppure potrebbe succedere che persone che non avrebbero mai creduto di saper rialzarsi dopo un evento traumatico, ce la facciano contro ogni previsione, “tornando alla vita” più forti e consapevoli di prima, divenendo così individui resilienti. Ciò che è noto è che non si diviene resilienti da un giorno all’altro, ma in tutti casi si deve affrontare un percorso che prevede una iniziale sofferenza, tuttavia questo cammino diviene meno tortuoso se affianco a noi abbiamo una persona di riferimento che ci tende la mano per accompagnarci.
L’individuo resiliente, non è per forza un individuo sempre felice e affermato nella vita, ma semplicemente, metaforicamente parlando, una persona sola e abbandonata dal mondo, che ha percorso una strada fangosa, dove imperversava un clima di tempesta e che finalmente è arrivata tutta fradicia, affamata e con le scarpe bucate nel rifugio più vicino, situato in cima ad una montagna e che una volta solcata la porta afferma: “poteva andare peggio, almeno sono vivo!”.
Entrando nello specifico, si può affermare che la resilienza è molto importante in tutti gli ambiti, ma in particolar modo quando si affrontano delle patologie, sia esse acute che croniche. Questa particolare capacità di essere individui resilienti, può essere d’aiuto al momento della diagnosi, quel momento in cui si viene catapultati in una realtà che prima non ci apparteneva, dove si riceve una doccia fredda inaspettata, quel momento in cui realizziamo di aver bisogno di aiuto come mai ne abbiamo avuto bisogno prima. Diventa ancora più importante nel momento in cui, specialmente nell’ambito di una malattia cronica, si hanno delle ricadute. È ampiamente dimostrato che un atteggiamento positivo nei confronti della malattia aiuti ad affrontarla al meglio, talvolta migliorandone gli esiti. Numerosi studi affermano persone affette da depressione, quindi con uno stato d’animo non certamente positivo, avvenga una guarigione delle ferite più lenta, tutto ciò infatti è stato attribuito all’umore e all’atteggiamento negativo che questi individui hanno nei confronti degli eventi di vita quotidiana. Esistono inoltre numerose testimonianze di persone che, una volta superata una grave malattia, si riscoprono più forti e più propensi alla vita, affermando che mai prima avrebbero pensato di superare un così grande ostacolo, definendo l’evento patologico come una vera e propria rinascita.
Per questo è importante non farsi sopraffare dagli eventi, non esitare nel chiedere aiuto se veramente ne abbiamo bisogno e adottare un atteggiamento positivo di fronte alle avversità che la vita ci pone davanti.