Osservando le cose con sguardo asettico, la Maremma ha un problema serio con cui fare i conti. Parafrasando le difficoltà che 47 anni fa gli astronauti del mitico “Apollo 13” ebbero a salvare la pelle, potremmo tranquillamente dire: «Houston abbiamo un problema: la Maremma si sta isolando». Dalla Toscana, dal governo nazionale, dal mondo intero. Precipitando nell’autocommiserazione e nell’autarchia, presunta.
Il fenomeno ha una sua contingenza politico istituzionale, ovviamente. Ma è più figlio di una resiliente tara culturale che d’altro. Riflesso condizionato (direbbe Pavlov) che scatta puntualmente nei momenti di crisi. Quando le cose vanno male, fatalmente, torna la sindrome del buttero, o del brigante Tiburzi, e tutti si sentono rassicurati nel proprio recinto. Deflagra la rivendicazione dell’originalità della Maremma rispetto alla Regione, inevitabilmente matrigna. Dilagano, nientepopodimeno, l’esaltazione del non meglio identificato popolo maremmano. La recriminazione cronicizzata per le occasioni che gli “altri” – Roma, Firenze, Siena, la politica, il nemico esterno di giornata – ci avrebbero fatto perdere. Varianti tosco-meridionali del rigurgito localista, isolazionista e xenofobo che sta ammorbando un bel pezzo di mondo. Di cui Brexit e trumpismo sono state le manifestazioni più evidenti, ma non le uniche.
In questa fase i sintomi della malattia sono evidenti. La guerriglia sull’autostrada contro la Regione e il Governo anche da parte di chi, fino a ieri, ha sostenuto gagliardamente il Corridoio tirrenico. La battaglia di retroguardia contro le Aree vaste – sanità, rifiuti, trasporti, ecc… – giocata tutta sulla rivendicazione localista e in una logica puramente difensiva dell’esistente. L’esasperazione dei problemi, nella nostra realtà ancora del tutto gestibili, legati ai flussi dei richiedenti asilo. Anche questa alimentata contro lo Stato e i prefetti. Arrivando alle vette della tenzone neomedievale perché a Grosseto rimanga la titolarità della “bollinatura” delle caldaie (sic); naturalmente contro la Regione, ma anche contro l’odiata Siena. Con una strizzata d’occhio all’orgoglio dell’identità maremmana, che non guasta mai.
È evidente che tutto questo è orchestrato in sede politica, sugli scudi giovani in preda all’ebrezza del potere e vecchi marginali in cerca di rilegittimazione. Ma sarebbe un errore madornale pensare che ciò sia semplicemente riconducibile a un unico schieramento, nella fattispecie il Centrodestra che ora governa Grosseto. A parti invertite – Centrodestra a Firenze, Centrosinistra a Grosseto; oppure sostituiteci i 5 Stelle – c’è da metterci la mano sul fuoco, gli atteggiamenti sarebbero speculari.
Prescindendo dal merito delle singole questioni, che reclamerebbero una disamina più approfondita, quel che rileva è il metodo. Poiché per una politica strutturalmente e culturalmente debole (in questa fase tutto l’arco costituzionale) il richiamo della foresta rimane incoercibile. Molto più comodo, quindi, lisciare il pelo a luoghi comuni e stereotipi più triti, che l’esercizio faticoso del pensiero lungo e dell’assunzione di responsabilità. Peraltro, tutta roba già vista nel recente passato. Il copyright, diciamo così, del revanscismo localista contro la Regione è infatti del Centrosinistra, che più o meno una venticinquina d’anni fa coniò il fortunato slogan “Firenze matrigna” per risolvere questioni di legittimazione del gruppo dirigente locale. Subito rinfrescato, ci mancherebbe altro, dal Centrodestra che, in assenza d’idee, alla prima occasione non perse l’occasione per buttare al vento dieci anni in polemiche autoreferenziali. Chi non ricorda, per dirne una, più o meno agl’inizi degli anni 2000, l’assurda contrapposizione a Siena per avere un’università tutta “grossetana” (naturalmente defunta). Con tanto di ammiccamenti ai Pisani in una caricaturale rievocazione dei campanilismi rinascimentali?
E tuttavia la politica non ha più colpe di quelle che son sue. Perché il vittimismo no global e la sindrome del recinto, fanno parte a pieno titolo del genius loci maremmano. E chi s’esercita in certi argomenti sa bene d’andare a toccare nervi sensibili almeno in una fetta d’opinione pubblica.
Come in tute le storie, però, c’è un però. Quanto questa mentalità è maggioritaria e quanto non lo è, nella nostra comunità? Perché l’impressione è che certi argomenti da bassa cucina del consenso politico (tripartisan), stringi stringi interessino solo a una minoranza. Che però è rumorosa e quindi si tira dietro il pigro sistema dell’informazione locale, che dà dignità di notizia a risse da cortile e lamentazioni inascoltabili. Inquinando il discorso pubblico. Con buona pace della maggioranza silenziosa,
Scomodando il santino Bianciardi, potremmo dire che la salvezza starebbe in un città aperta ai venti e ai forestieri. Nell’auspicio che Grosseto sia Kansas city, e che accetti la propria interdipendenza col resto del mondo. Senza cercare alibi alle proprie deficienze.
Ma cominciamo dai fondamentali, che i voli pindarici portano a battere delle gran boccate. Ripartiamo dal più prosaico, e pop, « Houston abbiamo un problema: la Maremma si sta isolando».