GROSSETO – “Le prese di posizione provocate dalla mia dichiarazione sulla gestione degli ungulati nella nostra provincia mi obbligano a fare delle puntualizzazioni”.
A scriverlo è Paolo Rossi, direttore provinciale di Confagricoltura.
“Pur convinto di vivere in una Italia dove il confronto è sempre più dettato da sì e no – spiega spesso non frutto di ragionamenti coerenti e costruttivi ma da logiche di parte e di interessi, proverò a spiegare le ragioni del mio rammarico.
La Legge Obbiettivo non era certo la soluzione a tutti i problemi , ma certamente è un passo avanti sul percorso di contenimento della popolazione di ungulati che obiettivamente sta stritolando l’ecosistema silvo-pastorale e la ormai minima economia agraria. Concordo sul fatto che il legislatore regionale, con il parere di Ispra, ammettendo uno stato di emergenza e affermando che la popolazione di ungulati è esagerata rispetto agli standard abitativi, abbia dovuto prevedere un percorso triennale per ridimensionare l’emergenza. Poteva chiedere più coinvolgimento? Può darsi. Ma questo non deve essere il pretesto per non impegnarsi, salvo non ci siano prese di posizione assunte a priori”.
“Mi rimane difficile – spiega il direttore di Confagricoltura – comprendere come mai nulla è cambiato e cosa sia successo dopo l’entrata in vigore della norma, che rimandava alle Atc la formazione di regolamenti attuativi, perché ad oggi tutto è immutato. Mi spiego meglio. La legge viene pubblicata in gazzetta il 12 febbraio 2016 e i selettori nella nostra provincia sono stati esaminati a settembre. Inoltre a fronte di 829 prenotazioni, sono stati abbattuti 167 cinghiali, vale a dire mediamente un capo ogni 5 uscite. Da notare che la caccia di selezione si fa con preventiva prenotazione telefonica, bloccando di fatto l’uso della zona attribuita pari a 16 ettari. Poiché sul fronte dei danni alle produzioni agricole, che nel 2015 sono stati quantificati in circa 500mila euro liquidati a ottobre 2016, anche quest’anno nulla cambierà con le stime purtroppo confermate e con i danni reali che superano i 10milioni di euro in Toscana, lascio a ciascuno ogni ulteriore considerazione. I numeri parlano da soli. Ma i veri problemi sono altri. Quando è stato approvato il regolamento di selezione da Atc, anche con il nostro parere, ad onor del vero, sperando che l’avvio della caccia di selezione avesse maggiori risultati, è stato introdotto un limite; vale a dire una fascia di rispetto di 400 metri dai confini delle zone vocate al cinghiale (zone boscate principalmente), dove possono esercitare la selezione solo i cacciatori iscritti a quella zona di caccia. Leggendo i numeri qualche dubbio mi viene e senza voler fare alcun processo alle intenzioni ritengo che forse è il caso di rivedere qualcosa in un prossimo futuro”.
“Per la cronaca, ma questa è storia – incalza Rossi – alle squadre dei cinghialai vengono assegnate zone di caccia dove è inibito l’accesso da parte di altri cacciatori. Da quello che vedo, tutto è mosso da buoni propositi. Peccato che le zone di caccia siano protette da una sorta di “prelazione venatoria”.
Mi spiace dirlo, ma fino a quando le cose resteranno in questo modo non ci potrà mai essere una legge in grado di limitare questo problema che ha origini antiche, come quello del foraggiamento da parte delle squadre dei cinghialai, attività oggi proibita che ha fatto proliferare la specie negli ultimi 15 anni.
Quanto poi alle dichiarazioni del veterinario Andrea Guidoni, richiamo l’attenzione su quanto da lui affermato. Considerato che si firma come Consigliere Comunale lo invito a riflettere su un principio. L’articolo 1 della Costituzione Italiana, di cui è un soggetto riconosciuto in quanto eletto dal Popolo sovrano, recita: “ L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Ebbene, prima si difende il lavoro e poi si tutela lo sport. Non vorrei che passasse il principio che “quando uno paga è libero di fare ciò che vuole”, affermazione che implicitamente esprime quando dice che i danni vengono pagati dalle quote dei cacciatori versate all’Atc”.
“In ultimo – conclude Rossi – non credo di aver bisogno di lezioni di vita in materia. Il fatto che io sia cacciatore non mi esime da un ruolo istituzionale che mi impone, per scelta di vita e convinzioni, la difesa delle imprese agricole e di quanti ogni mattina trovano il frutto del loro lavoro devastato da animali selvatici. Rispetto chi sta dalla parte opposta della barricata, che ama lo sport della Caccia e che magari da tale attività trae consenso e reddito, ma occorre trasparenza e coerenza non demagogia populista gratuita. Tutti sappiamo, io compreso, quanto sia difficile trovare sintesi partendo da interessi diversi, ma non possiamo nascondere il problema che deve essere risolto rapidamente. Per il futuro, eviterei di perdere tempo con queste polemiche e proverei a recuperare il tempo perso affinché gli agricoltori continuino a lavorare le terre, evitando abbandoni, e a fare dell’esercizio venatorio un valore di promozione della Maremma, perché alla fine si parla di espressioni che hanno fatto la storia di questa terra”.