GROSSETO – È stato un anno difficile, quello che si sta chiudendo, per il settore dell’agricoltura. Un anno, come afferma Confagricoltura «di poche luci e tante ombre». «Un anno – afferma il direttore di Confagricoltura Paolo Rossi – in cui ci sono state una serie di congiunture negative». Anche il presidente della confederazione degli agricoltori Attilio Tocchi parla di un 2016 «non positivo».
GIOVANI IN AGRICOLTURA
«Nei giorni scorsi si è parlato molto del pacchetto giovani della Regione Toscana che per questa annualità ha stanziato soli 20 milioni di euro e impegnate sul bando giovani e 100milioni per il primo anno, quello passato – prosegue Tocchi -. Risorse che conosciamo bene. In tal senso osserviamo e sosteniamo che sull’ultima scadenza di novembre i 20 milioni di euro sono davvero pochi a fronte di oltre 1.161 domande presentate, visto che solo 123 progetti (il 10,5%) riceveranno il contributo e il finanziamento. La Regione Toscana ha preso un impegno serio con i giovani toscani. Mi piacerebbe sapere cosa pensa al riguardo l’89,5% di chi ha presentato una domanda che non sarà evasa. Ribadisco, come si può finanziare il bando con soli 20 milioni di euro, quando il precedente ne ha ricevuti cinque volte di più, coprendo quasi il 40% dei progetti presentati? La logica indicherebbe, come minimo, di triplicare le risorse e arrivare a 65milioni di euro. In tal modo sarebbero soddisfatti almeno 450 progetti».
DIMINUZIONE DEL CUNEO FISCALE
«Abbiamo rimosso il problema, ma la riduzione delle imposte non è la soluzione, perché il sistema vecchio va rimosso l’importante è questo, sia con le aggregazioni interaziendali, cooperazione, riduzione dei costi di produzione, economie di scala. Se infatti la Legge di Bilancio 2017 ha eliminato l’Irpef agricola, con ripercussioni dirette e indirette sul comparto ancora tutte da valutare, il Decreto fiscale già approvato dal Parlamento ha invece introdotto alcune regole che renderanno la vita difficile ai piccoli imprenditori agricoli. Il riferimento è ai nuovi obblighi di comunicazione trimestrale delle fatture e delle liquidazioni periodiche IVA, a cui dovranno attenersi anche gli agricoltori ‘esonerati’, ossia coloro che “nell’anno solare precedente hanno realizzato o, in caso di inizio di attività, prevedono di realizzare un volume d’affari non superiore a 7.000 euro, costituito per almeno due terzi da cessioni di prodotti agricoli” come riporta l’art. 34 del Dpr 633/1972, ad eccezione di coloro che operano in zone montane (oltre 700 metri). Queste aziende sono esonerate dal versamento dell’IVA e da tutti gli obblighi documentali e contabili ad essa collegati, pertanto, richiedere l’invio pare in contrasto con la finalità originaria del regime di esonero. Non si potrà infatti chiedere a questi agricoltori l’invio della liquidazione IVA, ma sarà invece dovuta la comunicazione delle autofatture derivate dalla cessione di beni e servizi, che tuttavia gli agricoltori esonerati ad oggi non registrano. Di fronte a un quadro così poco chiaro si capisce come le nostre perplessità siano fondate; la politica da un lato toglie l’Irpef, con effetti tutti ancora da misurare, ma dall’altro esaspera con ulteriore burocrazia quelle piccole imprese che spesso operano in zone marginali, mantenendo il territorio, e per restare sul mercato e rafforzarsi necessiterebbero di ben altri provvedimenti.
CASTANICOLTURA
«Quello che sta per concludersi è stato senza dubbio un anno horribilis per il settore castanicolo amiatino – sottolinea Tocchi -. Pertanto è quanto mai importante stanziare denari per i produttori di castagne pesantemente colpiti dalla mancata produzione e dalla muffa. Perdere in un momento già penalizzato dalla crisi tutto il raccolto di un anno con una stima dei danni di circa 6 milioni di euro, significa uccidere la storia del Monte Amiata e soprattutto impedire che quasi tremila ettari di castagneti non vengano più manutenuti e conservati. Ecco perché, va bene sensibilizzare la Regione, ma credo che sia determinante, se non vogliamo far affondare questa economia, un immediato sostegno economico per consentire ai duemila castanicoltori di provare a vedere un futuro meno nero per loro e per l’Amiata. Basterebbe attivare il Piano Regionale Agricolo Forestale, un documento di riferimento per tutte le strategie di intervento del comparto agricolo e forestale, nonché l’unico Piano di erogazione finanziaria, che si basa su fondi regionali e nazionali e coordinato con le risorse europee. Ricordo che in passato il PRAF ha finanziato numerose iniziative di promozione e valorizzazione delle produzioni locali delle zone montane, ma oggi, che non c’è più il prodotto, è quanto mai necessario stornare quelle risorse indirizzandole direttamente affinché le castagne amiatine continuino ad essere un prodotto di eccellenza che il mondo ci invidia».
«Servono forme aggregative – sottolinea Rossi – la grande frammentazione dei proprietari in questo settore non aiuta contro i grandi gruppi che fanno cartello. La nostra castagna è tra le migliori d’Italia per proprietà organolettiche e va tutelata».
CEREALICOLTURA
«Il prezzo del grano è andato letteralmente a picco colpito da una concorrenza spietata e dalle continue riduzioni di prezzo, passando da 30 euro al quintale dello scorso anno ai 16-18 di quest’anno quando seminare un ettaro costa 700 euro. Il protrarsi di questa situazione ha portato al collasso le imprese agricole. Il prezzo, indebolito dalla speculazione e dalla concorrenza, non consente più di ottenere reddito, anzi le perdite si sommano portando a decisioni spesso drastiche come il rinunciare alle semine. Contiamo che la produzione italiana di grano duro è poco più del 60% del consumo, mentre quella del tenero è appena il 40%, ragione per cui sono improcrastinabili misure reali e concrete per tutelare e valorizzare chi sceglie di seminare. Vogliamo tracciabilità e l’indicazione di origine del prodotto e le istituzioni non possono più fare orecchie da mercante; devono comprendere, una volta per tutte, le difficoltà che vive il settore cerealicolo, aiutandolo e sostenendolo con atti tangibili». «Tra l’altro – ricorda Rossi – il piano cerealicolo nazionale è servito a poco: 10 milioni di euro verranno distribuiti solo a chi farà filiera e tracciabilità: ossia 60 euro all’ettaro per chi usa un seme certificato che però costa il doppio».
OLIVICOLTURA
«Quest’anno la produzione è ottima – chiarisce il presidente di Confagricoltura – forse minore come quantità ma il prezzo medio sarà più alto. Stiamo lavorando con Confagricoltura Livorno per mantenere la qualità e aumentare la quantità per garantire un maggior reddito ai produttori». «Se il progetto va in porto – garantisce Rossi – avremo altri 320 ettari di uliveti superintensivi. Si parla di Uliveti da impiantare ex novo e da raccogliere anche a macchina».
LATTE
Per quanto riguarda il settore del latte bovino l’anno è da dividere in due: «La prima parte dell’anno è arrivato a costare 20 centesimi al litro – ricorda Tocchi – oggi si vende invece a 43 centesimi. Adesso al nord sono stati chiusi i contratti che arriveranno sino a marzo a 39 centesimi. Il parmigiano sta andando bene i magazzini sono quasi vuoti. Se continua così avremo un anno un po’ più tranquillo: l’ideale sarebbe arrivare a pagare il latte 50 centesimi al litro. Il prezzo del latte è particolarmente importante per noi visto che la Maremma fa la metà della produzione di latte della Toscana».
Annata non altrettanto positiva invece per il latte ovino che da essere pagato un euro un euro e 10 al litro nel 2017 potrebbe perdere 10 centesimi. In Sardegna sono stati firmati contratti a 60 centesimi. Su questo incide la grande distribuzione che vende il pecorino a prezzi bassi. Qui dobbiamo fare la nostra parte coi consorzi di tutela: perché il pecorino sia davvero toscano, dalla A alla Zeta, e non si consideri solo il punto di trasformazione».
VITIVINICOLTURA
«L’annata vitivinicola 2016, caratterizzata da una diminuzione di vino stimata intorno al 5%, deve essere annoverata come la migliore degli ultimi anni da un punto di vista qualitativo – sottolinea Tocchi -. Indispensabile adesso che i Consorzi e le cantine cooperative si trovino insieme per parlare del futuro. Anche il vino dunque non immune alla crisi, con prezzi ridicoli e con una concorrenza spietata. Per questa ragione dobbiamo tutti insieme pensare al suo futuro e a quale prospettiva dargli. E’arrivato il momento che i Consorzi e le cantine sociali si trovino tutti insieme per parlare del futuro. Penso alla apertura di un tavolo di confronto, davanti al quale ciascuno abbandoni le sue convinzioni e posizioni preconcette e con un copioso bagno di umiltà collabori con gli altri affinché si trovino punti di contatto per portare avanti progetti condivisi, evitando di sprecare risorse, al fine di promuovere il vino e il territorio di cui questo prodotto è immagine. Le nostre produzioni vitivinicole devono essere vendute collegandole ai territori. Questo è il compito precipuo a cui devono assolvere i Consorzi, di cui abbiamo sempre apprezzato l’impegno svolto e gli sforzi profusi. Sarebbe illogico e irrazionale che, in un periodo difficile come quello che stiamo vivendo, ognuno di questi attori si muova per proprio conto, piuttosto che concentrare le risorse e le forze su obiettivi comuni e condivisi». Rossi parla delle telematizzazione dei registri che entrerà a gennaio e che garantirà una tutela del prodotto contro le frodi, a patto che non diventi una ulteriore zavorra burocratica.
PREDATORI
«Per risolvere il problema dei predatori avevamo proposto, nel maggio scorso in audizione in Commissione regionale Attività Produttive, l’istituzione della carta dell’allevatore, oltre a un contributo economico a capo perduto finanziato con risorse nazionali, oltre a una corretta gestione degli ibridi – afferma Confagricoltura -. Perché non lanciamo la proposta nazionale di sottoscrivere la Carta dell’allevatore, come quella del lupo, che parli del valore dell’allevatore e del reddito che esso crea, come presidio territoriale e capacità di mantenere una attività viva in ambienti che sovente non è possibile impiegarli in altro modo, ma anche il valore che esso ha nella tradizione. Si deve creare una cultura nuova e un ascolto nuovo. Sui danni riteniamo che debba essere lo Stato a pagare i danni, visto che il lupo è patrimonio statale indissolubile. Non è giusto impiegare i soldi del piano di sviluppo rurale, denari degli allevatori che la Comunità Europea eroga per lo sviluppo, per attività legate alla gestione e al pagamento di cose che non possono essere a loro carico. Che ci pensi lo Stato a trovare le risorse finanziarie per i pagamenti senza attingere al PSR. La Regione deve farsi poi carico del problema degli ibridi e di erogare un contributo premiale a capo per gli allevatori. Non è pensabile che un comune piccolo, con le scarse risorse finanziarie di cui è dotato, si possa fare carico di mantenere un cane per sette, otto anni dentro un canile. E’ eticamente sbagliato, perché un sindaco deve pagare le mense scolastiche e fare altra attività e perché non è giusto che un animale, così asociale, passi la sua esistenza isolato in uno spazio limitato. Altrimenti le risorse si trovino altrove, all’interno del bilancio regionale, magari creando tre o quattro centri di raccolta in Toscana; ciò faciliterebbe i Comuni che porrebbero una maggiore attenzione al contenimento degli ibridi, senza problemi di bilancio».
DANNI DA UNGULATI
L’emergenza ungulati è da anni che affligge la Maremma e più in generale la Toscana. Nonostante la Regione si sia dotata di una legge (n°10 del 9/02/ 2016) e nonostante le associazioni venatorie si siano formalmente impegnate a fare la propria parte, la situazione purtroppo non è cambiata… i piani di abbattimento restano al palo, mentre in molte aree la situazione si è ulteriormente aggravata. Infatti, in base alla legge regionale, gli Atc (Ambiti territoriali di caccia) avrebbero predisposto dei piani di abbattimento per riportare sotto controllo la popolazione degli ungulati che nella nostra regione, secondo le ultime stime, sarebbe di 200 mila caprioli, 200 mila cinghiali, 8 mila daini, 4 mila cervi e 1700 mufloni. Di chi è la colpa di questo stato di empasse? Senza dubbio dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale del Ministero dell’Ambiente), l’ente deputato a emettere i pareri sui piani di controllo della fauna e quindi sulla congruità degli interventi programmati dagli Atc, pareri che puntualmente, e senza possibilità di errore, riducono di almeno il 50% il carico di abbattimenti previsto, nondimeno però, si comporta ed agisce come se fosse il depositario assoluto di un potere di veto che tuttavia la legge non gli riconosce. Negli ultimi anni, nonostante l’aggravarsi della situazione degli ungulati e le grida di allarme, Ispra si è dimostrata indifferente alle sollecitazioni… ha continuato imperterrita a considerare le proposte non in linea con la propria visione ideologica. Ispra è dunque oggi il principale ostacolo alla soluzione del problema degli ungulati in Maremma e in Toscana. Quali conseguenze per il sovraffollamento degli ungulati? I danni non riguardano solo l’agricoltura (se da solo il cinghiale rappresenta il 60% dei danni totali, quelli da ungulati in genere rappresentano ben l’88% dei danni totali liquidati) ma investono anche l’ambiente e la conservazione della biodiversità e nel 2015 inoltre, gli incidenti stradali provocati dalla fauna selvatica, hanno causato ben 18 morti e 145 feriti». Ma Paolo Rossi bacchetta anche i cacciatori e il mondo venatorio che «ha subito la legge sulla caccia agli ungulati come una imposizione che limitasse la loro attività venatoria. E invece l’obiettivo della legge era quello di ridurre gli ungulati nelle zone non vocate quelle di produzione. I cinghiali si tolgono se c’è un buon rapporto con i cacciatori.»
AGRITURISMO
Anche per gli agriturismi «L’annata è stata buona ma non eccezionale – conferma Emanuele Romagnoli -. La crisi si è sentita. Chi in questi anni ha investito sui servizi è riuscito però a tenere il passo».
EXPORT
Per quanto riguarda l’export, la Maremma “vale” circa 7-8 milioni di euro. Ancora poco considerando che dentro c’è anche il vino che la fa da padrone. «Bisogna creare delle filiere vere – precisa Rossi – la castagna non deve essere solo per la farina, si può pensare ad un progetto magari con Corsini, lo stesso vale per l’olio, o la frutta, buonissima, e invece le confetture vengono da fuori. Bisogna provare a capire, con l’industria, come trasformare le materie prime». «La sfida nostra – gli fa eco Tocchi – è quella dell’aggregazione per fare rete e potersi proporre anche a livello internazionale, riducendo, così, anche i costi di produzione».