SIENA – «La manifestazione che si è svolta questa mattina vicino a Siena ovvero il Funerale del grano non poteva non vederci presenti, come sindaco di un Comune capoluogo e rappresentante istituzionale di un territorio che nell’agricoltura trova la sua principale, naturale e storica vocazione economica». Il sindaco di Grosseto, Antonfrancesco Vivarelli Colonna parla della sua partecipazione al “funerale del grano”.
«Ho partecipato oggi a questa protesta per sottolineare, a gran voce, accanto a tanti colleghi, aziende, famiglie, lavoratori la catastrofica situazione in cui si trovano i produttori di grano di qualità, quello cioè fornito dalle nostre terre – prosegue Vivarelli Colonna -. Questa ‘catastrofe’ è figlia di una concorrenza spietata e delle continue riduzioni di prezzo e colpisce in modo particolare Grosseto, che nel contesto regionale e nazionale vanta numeri record. Basti pensare che qui si registra il 30 per cento della produzione di tutta la Toscana, con 1,5 milioni di quintali a fronte dei 3,5 milioni di quintali di tutta la regione, per un volume di affari pari a 50 milioni di euro. E la Toscana in Italia è la quinta Regione per la produzione del grano di qualità. Nell’intera area nazionale, poi, il danno arrecato ammonta a 700 milioni di euro e le importazioni dall’estero (aumentate del 10 per cento) hanno causato un calo del valore del grano pari al 45 per cento del prezzo».
«Con due rischi possibili a breve, a livello nazionale: il taglio di 300mila posti di lavoro e la desertificazione di 2milioni di ettari di terreno, cioè il 15 per cento delle terre coltivate a grano in Italia – prosegue il primo cittadino del capoluogo -. Di questo dovrebbe rendersi seriamente conto il Governo, con il ministro Maurizio Martina che forse si è concentrato troppo su Expo e poco su questo disastro che incombe da tempo sulla nostra nazione. E che solo adesso, in extremis, è corso al capezzale dell’Unione europea per vedere di rimediare, ottenendo 10 milioni di euro: una goccia in un mare di problemi e difficoltà. Così come irrisori, a mio avviso, sono i provvedimenti paventati per dare sostegno alle aziende agricole: su tutti il Decreto ministeriale nell’ambito dei contratti di filiera con aiuti fissati in 100 euro a ettaro per un massimo di 50 ettari e fino a un massimo di 15mila euro in tre anni; ma anche l’abolizione dell’Irpef agricola con l’abolizione del reddito agrario domenicale».
«E poi il Disegno di legge sul caporalato. Fermo restando il fatto che siamo i primi sostenitori di una normativa che veramente possa combattere e reprimere certi fenomeni che vanno a ledere i diritti e la stessa dignità umana, ci pare sconcertante paragonare violazioni formali (come alcuni comportamenti sulla sicurezza o difformità lievi sulla busta paga) al reclutamento dei lavoratori in nero. Un’azienda agricola che già fatica a barcamenarsi nelle tante trappole tese dalla burocrazia non può essere vessata anche da una legge che mette sullo stesso piano il datore di lavoro che non fornisce le scarpe antifortunistiche a un’azienda che usa i caporali per il reclutameto della manodopera. Questo è una realtà che va combattuta con altri mezzi e forme e il mondo agricolo deve poter lavorare con i giusti margini di autonomia e serenità nel rispetto sempre delle legge, ma pensando al territorio, alle sue peculiarità, alla bellezza e al valore di un patrimonio che può e deve essere conservato, curato, valorizzato al meglio – conclude -, a vantaggio dell’economia locale e nazionale».