GROSSETO – Nello Bracalari, partigiano, e per anni presidente provinciale dell’Anpi, torna a parlare della riforma costituzionale e del referendum del 4 dicembre. Qualche settimana fa, Bracalari aveva annunciato la sua scelta di votare sì, oggi torna ad afforntare i temi della riforma costituzionale.
Ecco il suo intervento
«In due precedenti interventi, l’ultimo pubblicato anche sulla stampa, sulla riforma costituzionale oggetto del referendum del prossimo 4 dicembre, sostenevo le ragioni della mia attuale decisione di votare SI con la volontà tuttavia di mantenermi aperto al confronto e all’approfondimento con gli altri per approfondire ulteriormente il tema e giungere ad una scelta veramente consapevole.
Sul mio ultimo intervento mi sono stati manifestati numerosi pareri e vorrei ritornare su alcuni che mi sembrano di interesse per tutti..
In primo luogo però vorrei rivolgere un sentito ringraziamento verso tutti coloro, chi approvando o disapprovando il mio intervento, che si sono rallegrati del mio parziale ritorno in attività dopo mesi di forzata assenza per ragioni di salute.
Nel mio precedente intervento avevo spiegato che la mia convinzione si era formata su alcuni principali fatti, non opinioni, contenuti nel progetto di riforma che cito succintamente; superamento del bicameralismo paritario che priva il Senato della prerogativa della fiducia e razionaliza l’attività legislativa, ma introduce una camera che porta in questo processo la rappresentanza delle autonomie locali. Le maggiori garanzie per l’elezione del Presidente della Repubblica; Il notevole miglioramento degli strumenti di democrazia diretta: leggi di iniziativa popolare, quorum del referendum abrogativo e l’introduzione del referendum propositivo.
Qualcuno mi ha fatto osservare che avevo scelto la parte migliore, trascurando la parte normativa ordinamentale che invece si presenta scritta male o pasticciata. (In questo momento va molto di moda l’art. 70). Vorrei rispondere intanto che mi rifiuto di definire bravi e capaci solo chi ha scritto e approvato la riforma, ma altrettanto questo vale anche per chi la critica
L’esperienza secolare ci dimostra che è assolutamente impossibile avere a priori la certezza di un pieno successo del proposito che si intende realizzare con un atto normativo e ciò vale ancor di più intervenendo su una Costituzione lunga e rigida come è la costituzione italiana.
Se non vogliamo cambiare modello, lasciando i dettagli ordinamentali alle leggi ordinarie, bisogna dare per scontato che in seguito qualcosa dovrà essere perfezionato. Gli stessi costituenti erano ben consapevoli che questo evento si sarebbe potuto verificare, tant’è che la costituzione prevede una procedura per la propria modifica: l’art. 138. Detto questo tuttavia tutto ciò non giustifica in alcun modo la tesi immobilistica che nulla debba essere cambiato fino a quando non saremo in grado di proporre la perfezione, che sappiamo bene non esiste.
Vorrei suffragare queste mie osservazioni citando due esempi del passato che potrebbero ispirarci nelle scelte presenti..
Il primo è quello della riforma del titolo V della costituzione riformato nel 2001. Benchè approvato formalmente dal solo centrosinistra in Parlamento, in realtà nella sostanza fu elaborato e sostenuto da uno schieramento molto più ampio, comprese tutte le forze politiche del “polo”, sebbene, come è solito fare Berlusconi in tali frangenti, si sottrasse all’ultimo istante per ragioni politiche contingenti. La sostanziale condivisione di cui godeva quella riforma fu dimostrata a posteriori, dopo l’approvazione del referendum confermativo, quando i governatori del “polo” si mostrarono più che soddisfatti del risultato.
E noto a tutti che in seguito insorsero nella pratica numerosi conflitti di attribuzione, risolti solo in parte dalla corte costituzionale e, con l’esperienza, si è dovuto constatare la necessità di una nuova e più completa riforma correttiva, la quale ha trovato sbocco nell’attuale progetto, ancora una volta frutto di larghissima convergenza.
Ma se non vogliamo prendere esempi relativamente recenti, frutto di un ceto politico, si dice, totalmente incapace e pasticcione, possiamo andare più indietro nel tempo e considerare l’eclatante errore compiuto dagli stessi MITICI E INFALLIBILI PADRI COSTITUENTI, allorchè stabilirono che il Senato, in un sistema di bicameralismo paritario, avesse una legislatura della durata di 6 anni mentre la Camera ne aveva 5.
Tale norma, contenuta nella costituzione del ‘48, non fu mai applicata. Infatti ci si rese subito conto che tutto ciò avrebbe portato, con l’andare degli anni, ad una diversa configurazione politica dei due rami del parlamento, con evidenti problemi alla già scarsa governabilità del sistema politico del dopoguerra. In particolare ciò avrebbe reso particolarmente impervio il cambio di maggioranza. Infatti un partito all’opposizione che avesse finalmente vinto le elezioni in una camera non avrebbe potuto comunque formare un governo perché sicuramente privo di maggioranza nell’altra.
Fu ovviato a questo inconveniente sfruttando le prerogative del Presidente della Repubblica, che sciolze anticipatamente il Senato nel 1953 e nel 1958 e infine con una modifica costituzionale approvata nel 1963, che unificando la durata delle due camere mise fine a questa grossa anomalia.
Ho citato questo esempio per sottolineare la necessità di avere sempre una posizione di apertura verso il nuovo e non assumere sempre una posizione dogmatica di rigetto. I problemi sono inevitabili e insorgeranno sia che agiamo sia che restiamo inerti. Tuttavia è indubbio che le società e i sistemi politici che offrono migliori prospettive per i cittadini sono quelli che i problemi li aggrediscono per cercare di risolverli, anche con il rischio di sbagliare, piuttosto che subirli rassegnati.
Nello Bracalari»