FIRENZE. La situazione finora ha retto, ma con gli sbarchi che sono tornati a farsi fitti, profughi e richiedenti asilo accolti in Toscana rischiano di aumentare di parecchio. Ed è dunque necessario pensare a nuove soluzioni, soprattutto se non ci si sarà una ripartizione europea. La Regione, assieme ad Anci, l’associazione dei comuni toscani, propone un piano in otto punti da affrontare insieme al Governo ma con una richiesta inderogabile: che l’accoglienza rimanga diffusa.
Sono 7499 i migranti in cerca di rifugio o che hanno chiesto asilo ospiti in Toscana dal 2014 in strutture direttamente convenzionate con le prefetture. I dati sono quelli al 30 aprile scorso, diffusi oggi nel corso di una conferenza stampa convocata per fare il punto. Altri 679 sono accolti negli Sprar, accoglienze di secondo livello e con percorsi più strutturati che dipendono direttamente dal ministero dell’interno, e dove, con i nuovi progetti già in valutazione presentati da Comuni, Unioni e Società della salute, si potrebbero ricavare altri trecento o quattrocento posti. Fin dalle prossime settimane. Ma non basta: servono nuovi immobili ed occorre lavorare su ulteriori sperimentazioni.
“Comuni e Regione non sono soggetti titolati sulla materia dell’accoglienza” premette l’assessore all’immigrazione della Toscana, Vittorio Bugli. Accanto a lui c’è il presidente di Anci Toscana, l’associazione dei Comuni, Matteo Biffoni, che annuisce. Sono infatti Governo e prefetture ad aver la regia. “Nonostante che la questione non dipenda però da noi – riprende l’assessore – abbiamo sempre fatto la nostra parte e siamo pronti ad ulteriore sforzo adesso, visto che la situazione rischia di farsi ancora più pesante. Lo proviamo a fare con spirito di collaborazione, proponendo al Governo di firmare con noi un protocollo che possa aiutare a facilitare accoglienza e integrazione ma fissi anche punti precisi”. Otto, per l’appunto.
Ancora accoglienza diffusa – Il primo è quello del modello: la Toscana non vuol rinunciare all’accoglienza diffusa sperimentata la prima volta nel 2011 e 2012, quando ci fu l’ondata di migranti dopo le prime primavere arabe, e riproposta anche nel 2014. “Ha funzionato e va mantenuta. E poi non vedo alternative” dice Bugli, che per spiegare meglio cita qualche numero: 565 strutture sparse nelle dieci province, 201 territori comunali coinvolti, una media di 13 ospiti a residenza. “Il modello è questo e su questo non siamo disponibili ad arretrare” rimarca Biffoni.
Settantotto Comuni che finora hanno detto “no” – “C’è però un problema – si sofferma Bugli – Settantotto amministrazioni comunali mancano ancora all’appello, molte altre hanno presenze sotto la media rispetto al rapporto con il numero dei propri abitanti. Fino all’anno scorso ce l’abbiamo fatta, ora non è più tollerabile ed è necessario una ripartizione delle presenze, tenendo naturalmente conto dell’esistenza anche degli Sprar ma con tutti che siano pronti a fare la propria parte. In questo modo ci sarebbe spazio da subito per altri posti”. “E riusciremmo così a continuare ad offrire un’accoglienza dignitosa a chi arriva – sottolinea Biffoni – e allo stesso tempo sostenibile per le comunità dei residenti. Tecnicamente i Comuni non sono direttamente coinvolti. Però se compartecipano alle decisioni tutto fila meglio”.
Rimane da capire come convincere i Comuni che ancora non hanno accolto richiedenti asilo. Spetterà al Governo definire gli strumenti. “Forme di incentivi e disincentivi per chi accoglie andrebbero comunque bene” annuiscono assessore e presidente di Anci. Il che potrebbe volere dire più risorse in cassa, stessi soldi ma la possibilità di spendere e fare investimenti oltre le regole imposte dal patto di stabilità oppure di assumere in deroga ai blocchi.
“Si tratta di una materia difficile, complicata e tutt’altro che popolare, che sappiamo scivolosa – si sofferma Biffoni – però riteniamo che proprio per fare l’interesse delle città e dei territori, è necessario che il sindaco faccia la sua parte accompagnando le scelte che vengono fatte”. “Alla domanda se è arrivato il momento di forzare la mano rispetto ai Comuni che non fanno accoglienza, la mia risposta è chiara: assolutamente sì – dice il presidente dei sindaci toscani -. Lo dico con rispetto, ma è giusto e corretto che le prefetture intervengano, anche con metodi bruschi.
Nuovi Sprar – “Di pari passo – aggiunge Bugli – sarà necessario riaprire un nuovo bando per gli Sprar, perchè l’emergenza va superata e sono questi i modelli di accoglienza che facilitano l’integrazione. La ripartizione deve considerare gli Sprar”. Oggi ci sono 679 posti. Potrebbero arrivare in poche settimana a mille e raddoppiare con i futuri bandi. “Magari – prosegue Biffoni – si potrebbe permettere la partecipazione ai bandi anche ai Comuni che hanno già altri progetti Sprar attivi, come è intenzione del Governo”.
Rifugiati in famiglia, si attende il via libera – Naturalmente servono gli immobili: altri immobili. “La Regione aspetta ancora il via libera dal Ministero, se pur annunciato, sulla possibilità di accogliere i richiedenti asilo, quelli che sono qui da più tempo, in famiglia o in appartamenti di privati” ricorda Bugli. Lo scorso autunno era stato attivato un centralino che in un paio di mesi aveva ricevuto seicento telefonate, offerte per 250 posti e duecento case pronte ad essere messe a disposizione. Avevano telefonato un po’ da tutta la Toscana, dalle città e dalla campagna, dalla montagna e dalle isole. Avevano telefonato i pensionati come le giovani coppie, le famiglie senza e con figli. Il via libera dal Ministero, sia pur annunciato, ancora però non è arrivato. “Noi saremmo pronti a riattivare il centralino, con un nuovo numero, dall’8 o 9 giugno – dice Bugli -. Riteniamo che il nostro progetto possa diventare anche una sperimentazione nazionale. Ma stavol ta prima di partire vogliamo un sì chiaro e definitivo”.
Utilizzare gli immobili inutilizzati
Per l’assessore, contemporaneamente, è necessario anche che anche i vari enti dello Stato mettano a disposizione i propri immobili non utilizzati, come già Comuni e Regione hanno già fatto. Sarà necessario soprattutto se i richiedenti asilo che arriveranno sono molti come si dice. Ben vengano dunque gli immobili dei vari ministeri, dell’Inps (il cui presidente si è reso disponibile), di tutti gli altri enti e aziende statali. “Ma sempre – ribadiscono Bugli e Biffoni – con piccoli numeri ed accoglienza diffusa”.
Ripopolare i borghi disabitati – La Toscana è disponibile a lanciare anche ulteriori progetti sperimentali. Il primo riguarda l’inserimento di chi chiede rifugio – quelli da più tempo in Toscana – in strutture pubbliche disponibili legate alla forestazione e l’agricoltura, oppure in borghi disabitati. Serve per questo una maggiore condivisione dei dati sulle competenze e le storie di chi arriva – la Regione ha predisposto un software ad hoc – ed “occorre aprire – dice Bugli – ad altre enti gestori disposti a fare accoglienza, non solo alle cooperative sociali ma anche ad associazioni o alle cooperative forestali-agricole”. E’ l’esperienza in parte costruita nel comune calabrese di Riace e che il presidente Rossi, in visita in Calabria, ha annunciato di voler provare a replicare anche in Toscana.
Dall’emergenza all’autogestione – “L’obiettivo – conclude Bugli – è passare progressivamente dall’emergenza a forme di autogestione e formazione, con nel mezzo l’esperienza di un’attività di volontariato”.
Incentivi per rimpatri volontari – Rimane il problema dei lunghi tempi per il riconoscimento dello status di rifugiato e l’alta percentuale di diniego. Passa almeno un anno per la prima risposta, che in otto casi su dieci è negativa. Poi c’è l’appello, altri lunghi mesi, dopodiché se il diniego viene confermato gli ospiti dovrebbero lasciare le strutture che li accolgono. “Che succederà allora? – dice Bugli – La prima cosa da fare è velocizzare l’esame delle domande da parte delle commissioni. Ma se poi non si prevedono opportune modalità di rimpatrio, anche volontario, corridoi internazionali o incentivi per il ricongiungimento verso familiari che abitano magari in altre nazioni, come fu nel 2011, il rischio è che una buona parte degli ospiti finisca per nascondersi in circuiti irregolari. E non possiamo permettercelo”. “Dobbiamo essere disponibili ad occuparci anche di chi non avrà diritto a tutela umanitaria o asilo , con percorsi di accompagnamento od anche progetti di cooperazione internazionale” ribadisce il presidente di Anci.