BRUXELLES – «Sono passata davanti alla stazione della Metro pochi minuti dopo l’attentato e in un primo momento ho pensato che ci fosse stato un incidente». Paola Caselli è una dei tanti grossetani che vivono a Bruxelles e che sta vivendo l’incertezza e i timori di queste ore nella capitale belga (la foto di questo articolo è di Varese news).
«Io vivo nel quartiere europeo molto vicino alla stazione di Maelbeek – racconta al telefono – stavo uscendo da casa e ho cominciato a ricevere messaggi di gente che mi chiedeva come stessi. Stavo guardando il telefonino per capire cosa fosse successo e sono passata davanti alla stazione della Metro, ho visto la gente che correva e un poliziotto che mi si parava davanti, ci hanno dirottati su un’altra via e dall’uscita della metropolitana ho visto il fumo che usciva, la gente con gli abiti neri, sporchi di polvere e fumo. C’era gente che urlava e piangeva, persone stese a terra, in stato di choc».
Quello che fa Paola Caselli è un racconto apocalittico, sembra quasi una guerra, quel che resta dopo una battaglia. «La mattina non prendo mai la metro, da casa mia al lavoro ci sono meno di 15 minuti a piedi, però ci passo davanti tutti i giorni, anche a quella di Schuman. Sono stata indecisa se proseguire o tornare a casa. Avevo del lavoro urgente da sbrigare in Commissione europea e ho deciso di andare. Ci ho messo 50 minuti in auto. Una volta arrivati ci hanno letteralmente chiuso dentro, blindati per due ore».
«C’erano delle operazioni nei dintorni, nelle strade, nei palazzi, ma non sapevamo quali – racconta – non sapevo se amici e colleghi erano rimasti coinvolti nell’attentato della metro, i telefoni non funzionavano ed era difficile avvisare chi mi conosceva che stavo bene. Ad un certo punto ho preferito tornare a casa e il mio ragazzo è venuto a prendermi in auto. Sono rientrata giusto in tempo. Dopo poco poliziotti con il passamontagna hanno bloccato tutto il perimetro del quartiere europeo».
Paola Caselli parla però di una sorta di tragedia annunciata. Dopo la cattura del terrorista Salah tutti a Bruxelles si aspettavano una reazione di questo genere. Quel che stupisce è semmai la rapidità con cui i terroristi hanno reagito. «Dopo i fatti di Parigi siamo rimasti chiusi in casa per 5 giorni. Adesso l’allerta è di nuovo ai massimi livelli. Abbiamo paura. Ma non da ora». La Bruxelles che racconta è diversa da quello che possiamo immaginare. Quello che manca, paradossalmente, è proprio l’integrazione. «La prima cosa che mi hanno detto quando sono arrivata è che c’era quartieri, ma anche semplici vie, in cui non andava bene prendere casa». Una di queste è Molembek, in cui chi vive non parla neppure francese «Tutti gli attentatori vengono da lì. Qui gli stranieri di fatto non sono integrati, ma ghettizzati».
Una situazione di mancata integrazione che va avanti da molto tempo. Paola è a Bruxelles ormai da 9 anni. «Sono arrivata nel 2007 con uno stage e non sono più andata via: ho lavorato in studi legali internazionali, al Parlamento e infine in Commissione». Si attende il discorso del Presidente e del Re per capire se sarà istituito il coprifuoco «Ci è stata lasciata la scelta se lavorare da casa. L’allerta è massima, e è probabile che interdicano totalmente la circolazione come avvenuto a novembre».