GROSSETO – Si è svolto questa mattina l’incontro pubblico organizzato dall’Amministrazione comunale dedicato alla storia della famiglia Vivarelli e della storica azienda maremmana di pale a vento che porta questo nome.
All’interno dell’aula Magna del Polo Tecnologico Manetti-Porciatti di via Brigate Partigiane, insieme ai familiari del compianto ingegner Raimondo Vivarelli, gli studenti della 5a classe di meccanica, il sindaco Emilio Bonifazi, l’assessore ai Lavori pubblici Giuseppe Monaci, la Preside Antonella Baffetti. Tra i relatori il professore Fabrizio Pettini, che ha illustrato il “Progetto Eolo”, la ricerca fatta nel 2006 sulla conversione delle pale Vivarelli alla produzione di energia elettrica e che è stata oggetto anche di un programma televisivo RAI. Quindi Elena Montagnani (imprenditrice del settore) e l’ingegner Giovanni Vivarelli (figlio del recentemente scomparso Raimondo). Quest’ultimo ha svolto una relazione capace di percorrere la lunga storia che dalla fine del XIX secolo si è spinta con crescente successo fino alla fine degli anni ’60 del Novecento; la ricerca, l’apertura e lo sviluppo economico e occupazionale della fabbrica, la diffusione delle pale a vento non solo in Italia e il loro ruolo centrale nello sviluppo agricolo del territorio.
Successivamente una delegazione si è spostata all’inizio di viale Uranio, dove si è svolta una piccola cerimonia nella quale è stata scoperta la targa posta nella rotatoria che ospita proprio una riproduzione in stile delle storiche pompe a vento maremmane.
Le pale a vento Vivarelli
Nella seconda metà del XIX secolo Raimondo Vivarelli, prendendo spunto dalle pale diffuse negli Stati Uniti, ideò e produsse le famose pale che, sfruttando la forza del vento e, soprattutto, essendo concepite orientabili in base alla sua direzione, erano in grado di estrarre dai pozzi quell’acqua quanto mai necessaria per lo sviluppo dell’economia agricola del territorio.
La prima fabbrica Vivarelli aprì nel 1872 in un capannone di via Mazzini, per poi spostarsi in via Senese dove, nei decenni successivi, arrivò ad occupare fino a 150 lavoratori. Alla morte del fondatore, l’attività venne infatti portata avanti dai figli Luigi, Giovanni e Raffaello e quindi da un nipote, appunto Raimondo Vivarelli, ingegnere e docente universitario, scomparso nel 2014 a Porto Santo Stefano dove viveva insieme alla moglie Francesca Pasqualini.
Fu lui a trasformare definitivamente questa azienda in un vero e proprio punto di riferimento della migliore imprenditoria maremmana, rendendola capace di esportare il proprio prodotto in varie parti del mondo, a partire dal continente africano, che di sistemi alternativi di pompaggio dell’acqua ha sempre avuto un disperato bisogno.