GROSSETO – Sette grandi marchi dell’olio, alcuni recentemente acquisiti da gruppi stranieri, sono stati accusati di aver messo in vendita come extravergine quello che in realtà era semplice olio di oliva, meno pregiato, a seguito di un indagine condotta da procuratore di Torino, Raffaele Guariniello. «Occorre fare al più presto luce per difendere un settore strategico del Made in Italy con l’Italia che – afferma Andrea Renna, direttore di Coldiretti Grosseto – è il secondo produttore mondiale di olio di oliva dopo la Spagna. L’Italia è però anche il primo importatore mondiale di oli di oliva che vengono spesso mescolati con quelli nazionali per acquisire, con le immagini in etichetta e sotto la copertura di marchi storici, magari ceduti all’estero, una parvenza di italianità da sfruttare sui mercati nazionali ed esteri. Un comportamento che favorisce le frodi che vanno combattute anche con l’applicazione della disciplina del settore».
Nonostante l’esistenza di una rigorosa cornice normativa definita con la legge 9 del 2013 fortemente sollecitata dalla Coldiretti che ha introdotto importanti misure per la trasparenza nel settore, occorre denunciare una diffusa disapplicazione delle norme previste a partire dal mancato controllo di regimi di importazione che non consente di verificare la qualità merceologica dei prodotti in entrata per cui, ad esempio, l’olio d’oliva viene spacciato per l’olio extravergine d’oliva e l’olio di sansa passa per olio d’oliva. Inoltre mancano ancora i controlli per la valutazione organolettica del prodotto che consentirebbero di distinguere e classificare gli oli extravergini d’’oliva individuandone le caratteristiche mentre mancano anche le sanzioni per inadempienza, che prevedono l’uso obbligato dei tappi antirabbocco nella ristorazione dove continuiamo a trovare le vecchie oliere indifferenziate, ad ulteriore beffa e danno per i consumatori.
«Una disapplicazione della legge che si estende poi – conclude Renna – al mancato contrasto nei riguardi dei marchi ingannevoli che inducono spesso in errore i consumatori che non sono in grado di conoscere esattamente cosa portano a tavola».