GROSSETO – Chiedono la prosecuzione delle indagi e si oppongono alla richiesta di archiviazione i legali che rappresentano le famiglie di Paolo Bardelloni, Maurizio Stella e Antonella Vanni, i tre dipendenti Enel che morirono nell’alluvione del 12 novembre 2012 per il crollo del ponte di Marsiliana.
«I risultati delle indagini coatte anziché smentire, hanno confermato integralmente quanto già esposto – affermano gli avvocati -. Da un lato, la strada provinciale 94, all’altezza del ponte della Marsiliana, non è stata chiusa nelle ore precedenti il grave incidente mortale; dall’altro, della chiusura della strada, ordinata dalla Provincia alle 3.47 del 12 novembre 2012, non è stata data notizia a chi avrebbe potuto e dovuto garantire il rispetto dell’interdizione della stessa» (nella foto Laura Pacenti, Paolo Serra e Francesca Stella).
Quello che contestano gli avvocati Paolo e Luciano Serra e Laura Pacenti è che la segnaletica non fosse «idonea a garantire l’effettiva chiusura della strada, come è stato più volte rilevato dai difensori, nonché dallo stesso Giudice per le indagini preliminari, in occasione della prima richiesta di archiviazione». Questo secondo gli avvocati sarebbe confermato dal costante traffico che si sarebbe avuto sulla strada durante tutto il giorno nonostante la chiusra, tanto che anche una pattuglia dei carabinieri di Pitigliano ha transitato sul ponte una mezz’ora prima del crollo che è avvenuto alle 22 del 12 novembre.
«La strada era chiusa con una transenna per metà della carreggiata, come ad indicare un ostacolo da superare, come capita ad esempio quando c’è una buca, mentre l’altro lato era aperto – precisano gli avvocati – tra l’altro anche la transenna non aveva segnali luminosi, nonostante fosse notte e con la pioggia la visibilità fosse scarsa, era stata rimediata all’ultimo momento in un campo di calcio, dalla ditta incaricata dalla provincia di garantire la sicurezza della circolazione».
«La segnaletica ivi presente (assimilabile a “barriera normale”) – afferma nell’atto di opposizione il consulente di parte Lorenzo Loreto, direttore dell’ufficio della Motorizzazione civile di Grosseto – non implica alcun divieto o obbligo ma rappresenta semplicemente la segnalazione dei limiti di un cantiere stradale o di un’area adibita a deposito sulla strada».
Nessuno, neppure tra le forze dell’ordine, era stato avvisato che la strada era chiusa. Fu proprio la polizia, a Montalto, che suggerì ai tre dipendenti Enel il percorso da seguire per tornare a casa. La strada doveva essere chiusa, così aveva disposto il geometra Umberto Tozzini e più volte aveva chiamato Gian Paolo Conti della ditta incaricata. Questi aveva detto che la strada era chiusa ma che la gente continuava a spostare i birilli «questo perché gli sbarramenti adottati non erano idonei. Si sapeva che la strada era a rischio, la giustificazione successiva è stata che non avevano più i cartelli per chiudere la viabilità. Ma chi era preposto a farlo doveva assicurarsi che la strada fosse chiusa in modo inequivocabile, se necessario mettendoci davanti una pattuglia dei carabinieri o della polizia, ma nessuno era stato avvisato, né i Comuni né le forze dell’ordine. Anzi, dopo una prima inclusione della strada nel bollettino tra quelle chiuse, la strada ad un certo punto sparisce e non viene più mensionata».
Secondo gli avvocati la chiusura della strada non fu comunicata né ai comuni interessati (Manciano e Magliano) né alla compagnia dei Carabinieri. Le transenne idonee furono apposte ma all’1 di notte, come testimoniarono i carabinieri, ossia dopo l’ncidente si trovò finalmente quella segnaletica che in tutto il giorno non era stata trovata. Quello che chiedono i legali è di stabilire chi doveva vigilare sulla chiusura della strada. Chi emise l’ordinanza che poi non fu rispettata? Chi doveva vigilare sull’attuazione della stessa? Chi all’interno della Provincia o della Prefettura aveva questo ruolo? «Vogliamo un’organigramma con i nomi, non solo con le funzioni come ci è stato fornito».
I legali chiedono anche di approfondire la situazione del ponte e della strada e se ci siano responsabilità per lavori di messa in sicurezza eventualmente non fatti.
«Durante il tragitto le tre vittime chiamarono per ben tre volte il 113 per capire quale strada fare. Ma quella strada risultava aperta – affermano ancora -. Eppure, tra la gente, c’è ancora la convinzione che il ponte fosse chiuso e siano stati loro a spostare le transenne, e invece sono passati da lì perché ce li avevano mandati e sempre da lì erano passate nel pomeriggio anche molte auto, compreso un autobus e, alle 21.45, una macchina dei carabinieri. Li hanno visti sparire nella voragine e hanno dato l’allarme, altrimenti chissà in quanti avrebbero fatto la stessa fine dopo di loro».