GROSSETO – Alcol e giovani «il problema è di cultura, non solo del sapere, ma del modo in cui una comunità vive e si riproduce in costumi, modi di vita e istituzioni». Lo afferma il dottor Giuseppe Corlito responsabile scientifico del Centro di documentazione per gli stili di vita sani di Grosseto, intervenendo sulle notizie che da giorni occupano le pagine dei giornali di giovani in coma etilico dopo serate in discoteca o con gli amici.
Corlito sottolinea «La quasi totale disinformazione di chi interviene, compreso chi si dichiara un esperto. Sembra che la questione siano le misure più o meno repressive da usare. Le regole ci sono, almeno dal codice Zanardelli (1889) sull’età legale dei 16 anni, sotto cui non si può “mescere” una bevanda alcolica, regole regolarmente eluse e che vanno ovviamente rispettate. Fuori di ogni polemica, non sono un “proibizionista”, ma la legislazione di ogni paese civile lo è sempre un po’ in base alla cultura dominante».
«Diciamo una parola chiara sul coma etilico: non è legato all’aver “bevuto troppo”, un ragazzo vi può andare incontro anche al primo drink della sua vita per la specificità di un organismo in crescita – prosegue Corlito -; lo stesso può accadere se beve una persona che non ha mai bevuto. Proprio come l’ecstasy può dare un’ipertermia maligna alla prima assunzione. Quindi non di abuso occorre parlare ma di uso, come dice l’OMS. Perché continuiamo a parlare di “abuso”? Secondo il Lancet, la rivista medica più prestigiosa del pianeta, l’alcol sotto ogni forma è la droga più pericolosa, socialmente e individualmente, eppure noi – come società – in vario modo continuiamo a proteggerla. In una recente nostra ricerca-intervento in corso di pubblicazione sugli stili di vita per una scolaresca della media inferiore del grossetano l’assunzione di bevande alcoliche è considerato poco pericoloso rispetto a tutti gli altri comportamenti a rischio (fumo, sedentarietà, cattiva alimentazione ecc.)».
«Perché ci rivolgiamo alla media inferiore e anche alle elementari (su questo stiamo lavorando con le istituzioni locali per un programma di prevenzione di almeno 5 anni)? Il problema si comincia a determinare tra i 10 e i 14 anni in casa ai pasti con il vino – sottolinea Corlito -, come dimostra un’altra nostra ricerca appena pubblicata dalla rivista Alcologia, che chiama in discussione ancora una volta le famiglie: quelle dove c’è confidenza con le bevande alcoliche hanno un rischio maggiore di avere figli con un comportamento a rischio di quelli dove non si beve (50% contro 12%). Sono tutte “verità” che ignoriamo per le stesse ragioni dette sopra. Occorre che ciascuno faccia la sua parte, a cominciare dalle famiglie e dai mass media, senza delegare solo gli esperti e le istituzioni, perché il problema è il cambiamento della cultura degli adulti, prima che dei giovani, i quali sono nostri figli anche in questo».