Terza puntata per il nostro viaggio a Parigi, guidati da Giulio Gasperni alla scoperta di una città sconosciuta.
Librerie.
La concentrazione di librerie a Parigi ti accorgi fin da subito che è altissima. Saresti curioso di trovare, da qualche parte, una percentuale. I francesi leggono; proprio tanto, pare. Ma quello che è ancora più sorprendente è che sono quasi tutte librerie specialistiche: che si occupano, cioè, soltanto di determinate tipologie di libri, e non sono dei grandi magazzini dove trovi tutto, anche l’opposto, ma dove latita un libraio che ti sappia dare uno straccio di informazione. Il librario. Ti accorgi ben presto anche che Parigi è piena di librai. E questo è anche forse più sorprendente dell’alto numero di librerie che ci sono. Te le segni tutte, sulla guida, le librerie interessanti; più che interessanti, vai a caccia di quelle antiquarie, magari. Quelle che non vendono solo libri ma anche attimi di storia passata, di civiltà. Passeggiando nel Quartier Latin ti imbatti in una di queste, la “Abbey bookshop”.
È una libreria canadese, stipata all’inverosimile di libri di ogni forma e dimensione, di ogni epoca e stato sociale. È letteralmente ammassata, in un modo in cui è difficile immaginare. Libri poggiati e impilati a terra, disposti su scaffali alti fino al soffitto, persino in doppia fila; libri sistemati sopra altri libri, di costola, di piatto, di traverso. Ad accoglierti, una ragazza ricciola, sorridente, alla quale chiedi se riesca a ricordarsi dove si trovi ogni singolo volume, nella sua libreria, e se saprebbe ritrovarlo. E lei risponde, persino un po’ schernendosi, che non di tutti si ricorda la precisissima collocazione; però sì, sarebbe in grado di dirti, di sicuro, in quale angolo, su quale mensola. Mentre paghi un libro costosissimo sulle librerie più belle al mondo (dove la ragazza, scherzosamente, dice che la sua ahimè non c’è ancora) ti viene offerto un caffè, o un tè, a scelta. Ma tu rispondi che l’hai già presto, hai già visto il carrellino e ti sei già servito, perché lo avevi letto sulla Lonely Planet. E la ragazza scoppia a ridere.
Sull’Ile de Saint-Louis, sorella minore della più famosa Ile de la Cité, ti imbatti nella Librairie Ulysse, una libreria tutta dedicata ai viaggi e alla geografia (un paradiso, insomma!) creata nel 1971 da Catherine Domain: si fregia del titolo altisonante (e chissà se vero) di “plus ancienne librairie de voyage au monde”. Il padrino fu niente meno che Hugo Pratt, uno dei più famosi evasori geografici con la potenza della fantasia e della matita. E già la amo. Anche perché, per entrare, c’è un campanello da suonare. Se il libraio c’è, ti apre, altrimenti devi ripassare più tardi. E il tutto è scritto sulla porta, senza nessun problema né inquietudine. Una dimensione veramente così poco commerciale che non puoi che rimanerne affascinato, e meravigliato. E il pensiero, abituato a profitti e guadagni, ti porta subito a pensare al modo in cui riescono a vivere queste librerie, così specializzate e così poco aperte.
Camminando per Parigi, assecondando le strade che si dipanano davanti, capiti in Rue du Roi de Sicile 10, e trovi la Tour de Babel, una “librarie italienne” che sta lì da più di trent’anni, come ti spiega il proprietario che scopri avere un appannato ma inconfondibile accento toscano. E scopri che non vendono soltanto libi di scrittori italiani (un ragazzo chiede di alcuni racconti: chi potrei leggere? Pavese oppure Calvino, consiglia il libraio), ma ne stampano pure: rimani folgorato da una copia di “Impromptu”, di Amelia Rosselli, completamente rilegata a mano. Il libraio ti spiega che le faceva lui, uno per uno. Una passione, certo, ma anche una vocazione che tiene viva la cultura e la trasmette in un luogo lontano. C’è anche una piccola galleria, dove espongono dipinti e statue di artisti italiani. E ne fanno pure dei piccoli ed eleganti cataloghi. Mentre ne sfogli uno, ti scopri condividere con il libraio paesaggi e orizzonti; quelli maremmani, dove lui ti racconta averci tanti carissimi amici e tu ammetti che, ogni tanto, te ne prende la malinconia.
Qua i negozi, spesso, hanno la facciata in legno, magari dipinta di colori vivaci o di più eleganti neri e marroni. Blu è il colore de “Les mots à la bouche”, una libreria lgbt in pieno Marais, quartiere vivace ed esplosivo di movimento. Anche qui, pareti affastellate di libri e soprattutto piena di lettori e lettrici che si muovono impacciati, facendo magari cadere per terra della copie, ma tutti orgogliosamente in cerca del volume giusto. Tappa obbligata, per chi visita le librerie di Parigi, è la leggendaria Shakespeare & Company, oggi sistemata al cospetto dell’Ile de la Cité, in rue de la Bûcherie, sulla Rive gauche, nel Quartier Latin. Una volta si trovava in rue de l’Odéon 12 e fu nido e rifugio prediletto di scrittori del calibro di Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald e Gertrude Stein. Come sempre, in questi casi, l’anima della libreria era la sua libraria, la leggendaria Sylvia Beach, che nel 1922, incurante di censuri e probabili problemi con la legge, assieme alla compagna (di lavoro e di vita) Adrienne Monnier, pubblicò nientemeno che “Ulysses” di James Joyce; nessun’altra casa editrice aveva voluto il coraggio di pubblicarlo.
I nazisti, poi, portarono le ombre nella grande capitale francese, e chiusero anche questo luogo di estrema (e pericolosa) cultura. La libreria fu riaperta qualche anno dopo da George Whitman nella sede attuale: tra i corridoi, su per le ripide scale, su quelle sedie che volutamente sono lasciate in un’apparente trascuratezza, si sono ritrovati tutti gli autori della Beat Generation. Whitman la definì “Un’utopia socialista mascherata da libreria”; oggi cercano di essere divertenti i poster in vendita, che rappresentano le caricature di tutti i personaggi che hanno approfittato degli accoglienti spazi della libreria, ma in realtà lasciano molto amaro in bocca. Ai giorni nostri, infatti, la Shakespeare & Company pare aver perduto molta della sua magia, almeno nella parte più nuova (quella più antica, ancora col pavimento originale, ha orari di apertura diversi e può essere visitata solo da una ventina di persona alla volta). Oramai più che librari ci sono commessi, ci si scattano foto e selfie facendo finta di battere su una nostalgica macchina da scrivere appoggiata su un tavolino, proprio di fronte alla finestra che guarda, sbalordita, la Cattedrale di Notre-Dame e i suoi gargoyles: l’afflusso intenso di flash e smartphone cliccanti oramai probabilmente ignora quanta storia sia annidata tra le costole dei tanti libri polverosi e dall’aspetto oramai sfiduciato.
Continua…