GROSSETO – Non si fermano le polemiche in merito all’Imu agricola. Associazioni, amministrazioni comunali e partiti politici continuano a non essere soddisfatti da quanto fatto dal governo.
«L’elefante ha partorito un topolino» afferma Confagricoltura. «Altro che miglioramenti. L’Imu agricola sarà sempre condizionante per le imprese – prosegue il presidente di Confagricoltura Grosseto, Antonfrancesco Vivarelli Colonna -. Quanto prodotto dal governo con il decreto che contiene la revisione dei criteri di esenzione dell’Imu dei terreni agricoli in zone montane e collinari è una sorta di pannicello caldo che non cambia per nulla, o poco, la sostanza. Ossia che l’Imu è una tassa iniqua e da abolire. Un imprenditore la cui proprietà ricade nei comuni non montani in base alla classificazione Istat, considerando una aliquota del 7,6 per mille, arriva a pagare 63 euro ad ettaro per un vigneto, 21 per un oliveto, 31 per un seminativo e 2 se si tratta di terreno boscato. Per recuperare il minoro gettito hanno deciso di eliminare alcune delle importanti misure di riduzione del costo del lavoro agricolo che erano state introdotte nei mesi scorsi dal cosiddetto decreto Campolibero e dalla legge di Stabilità per agevolare l’assunzione di lavoratori a tempo determinato stabilmente inseriti nella compagine di una azienda. Questo governo ha preso il settore come una sorta di bancomat dal quale attingere quando più aggrada».
«L’Imu così come è stata modificata è soltanto un palliativo e noi continueremo la nostra battaglia – gli fa eco il presidente della Cia di Grosseto e vicepresidente della Cia Toscana Enrico Rabazzi -. È vero che i territori totalmente montani non pagano e questa è una bella notizia ma in maniera indiretta ci sono varie situazioni in cui si continuerà a pagarla: se il proprietario decide di affittare il proprio terreno ne farà ricadere il prezzo sull’affitto e alla fine chi quel terreno lo lavora si troverà di fatto a pagare anche l’Imu. Non siamo d’accordo però nemmeno sui criteri con cui si è deciso di far continuare a pagare questa tassa assurda ai Comuni non montani perché i criteri con i quali questi vengono classificati risalgono addirittura agli anni cinquanta. Dovremmo invece usare l’Imu come incentivo all’agricoltura facendola pagare su quei terreni che non vengono utilizzati o non si concedono in affitto».
In base alla tabella Istat del 1952, riferimento per la tassazione 2015, il Comune di Roccastrada risulta essere parzialmente montano, questo significa che sono esonerati dal pagamento dell’IMU i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionisti; tutti gli altri devono pagare. «In questo caso non condivido la scelta del Governo – dichiara il sindaco Francesco Limatola -, in una situazione già difficile si va a gravare ancora sui cittadini; inoltre le previsioni degli introiti IMU dello Stato non sembrano coincidere con le nostre. Ritengo insomma, profondamente ingiusto questo nuovo balzello, soprattutto se pensiamo che si dovrà pagare anche per piccoli appezzamenti di terra spesso adibiti ad orto, vigna o oliveto, molto importanti per l’ambiente e per la società. Questi infatti garantiscono la presenza dell’uomo sul territorio e quindi la sua cura, producono cibi sani e mantengono il legame delle famiglie con la terra». Gli stessi criteri vengono applicati anche per l’imposta 2014; per questo anno però l’IMU non è dovuta per quei terreni che erano esenti in virtù del decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 28 novembre 2014, anche se poi risultano imponibili per i nuovi criteri determinati per il 2015. I contribuenti, che non rientrano nei parametri per l’esenzione, dovranno versare l’imposta entro il 10 febbraio 2015.
«Quello dell’Imu in Agricoltura è, seppur in buona compagnia, uno dei peggiori provvedimenti che questo governo abbia elaborato. Vessare in questo momento un settore come quello dell’agricoltura significa essere miopi o in malafede». Così interviene il coordinamento provinciale di Sel. «Quello che ci sconcerta di più non è solo l’imposta in se ma anche l’ingiustizia evidente nella sua applicazione che non tiene conto di situazioni particolari. Parliamo della clamorosa mancata esenzione dei terreni alluvionati spesso incoltivabili e sui quali i proprietari, nonostante lo stato di calamità, hanno percepito appena un 10% del rimborso, come esempio di quelli di Albinia. Oppure la distinzione poco comprensibile e talvolta anche molto ingiusta tra comuni montani e non. Il tutto senza considerare affatto il sacrosanto principio costituzionale della progressività della tassazione per il quale chi più ha più dovrebbe pagare. Tutto ciò porterà all’abbandono o alla vendita a basso costo dei terreni da parte dei nostri contadini».