a cura di Giulia Carri
BERLINO – Francesca Piccioni 30 anni di Grosseto. Una vita dedicata alla musica classica l’ha portata a fare la violista professionista nella capitale tedesca dove vive e lavora da sei anni.
Quando hai cominciato a suonare?
“Ho cominciato a sette anni. Ho suonato il violino fino a 23, poi sono stata conquistata dalla viola che da allora è il mio strumento. Sono entrata nell’Orchestra Cavalieri a 12 anni e così è iniziata la mia carriera da musicista.”
Hai proseguito con il conservatorio?
“Sì e contemporaneamente mi sono diplomata anche al Liceo Scientifico di Grosseto. Il liceo ha avuto un ruolo importante nella mia formazione. Mi ha lasciato il bagaglio culturale per cui l’ho scelto, ma è stato anche un periodo faticoso perché è stato molto difficile far conciliare la scuola con il diploma in conservatorio.”
Dopo cosa hai fatto?
“Ho scelto l’ Università. Nel 2003 mi sono iscritta alla facoltà di Lettere a Firenze e per due anni mi sono dedicata quasi completamente allo studio. La musica era meno importante. Non è stata una scelta forzata, in quel momento era ciò che sentivo di fare.”
Poi che è successo?
“Sono nate alcune collaborazioni con il Centro di Musica di Fiesole, poi con varie orchestre e dei gruppi di musica da camera, e quando mi sono trovata di nuovo a dover scegliere tra la musica e le altre passioni della mia vita, ho scelto la musica. Mi è dispiaciuto lasciare l’università ma, a quel punto, per me era chiaro che la mia carriera sarebbe stata un’altra.”
Sei rimasta a Firenze?
“Sì, per due anni ho suonato nelle orchestre giovanili della scuola di musica di Fiesole. Dopo mi sono trasferita a Bologna per frequentare il conservatorio dove mi sono diplomata in viola nel 2008. Il post diploma è stato un momento molto positivo, suonavo con orchestre importanti come l’Orchestra Mozart di Abbado, e nello stesso periodo ho cominciato a suonare con il quartetto d’archi con cui ancora lavoro.”
Perché hai scelto di andare a Berlino?
“Sempre nel 2008 sono entrata in un’orchestra giovanile europea, la Gustav Mahler Jugendorchester , dove ho conosciuto diverse persone che studiavano all’estero. Molte di loro studiavano a Berlino, così ho cominciato ad interessarmi alla realtà tedesca. A dicembre per la prima volta sono andata in visita alla scuola Hochschule ‘Hanns Eisler’ di Berlino, per conoscere gli insegnanti e capire il loro metodo di studio. L’esperienza è stata bella e ho deciso di fare l’audizione per entrare nella scuola. Mi ero preparata, ma sapevo che sarebbe stato difficile. Quando mi hanno presa, cosa affatto certa, non potevo più avere dubbi sul partire e nell’aprile del 2009 mi sono trasferita.”
Parlavi tedesco?
“Avevo delle buone basi perché lo avevo studiato al liceo, ma non parlavo proprio fluentemente, c’è voluto un po’ di studio e di tempo.”
Come è stata l’esperienza di studio tedesca?
“Bella. La scuola che ho frequentato è notoriamente rigida per quanto valida e mi ha dato la possibilità di suonare con importanti orchestre internazionali oltre a poter aumentare gli ingaggi con il mio quartetto d’archi. Ho anche imparato a convivere con la competizione, aspetto del mio lavoro che meno mi attrae, ma col quale devi fare i conti quando passi 10 ore al giorno in una scuola scelta da musicisti professionisti di tutto il mondo.”
Dopo la scuola scegli di rimanere a Berlino, perché?
“Prima di tutto perché la città mi piaceva molto, conoscevo ormai abbastanza bene la lingua ed avevo creato delle belle amicizie. Inoltre avevo cominciato a suonare con varie orchestre tra cui l’orchestra della radio di Berlino, e gli altri membri del mio quartetto d’archi si erano a loro volta trasferiti in città per studiare, quindi ho scelto di rimanere.”
Torni in Maremma?
“Quando mi mancano tutte le sue cose migliori e posso torno, per godermele e vedere la mia famiglia.”
Cosa ti piace della Germania e cosa ti manca dell’Italia?
“Non è una novità che la cultura sociale tedesca sia un po’ più rigida della nostra, il che inizialmente è uno scoglio per ogni italiano. La stessa rigidità diventa però serietà e professionalità nel lavoro, e questo è ciò che più apprezzo rispetto al modo approssimativo in cui spesso si fanno le cose in Italia. Quello che un po’ mi manca è la flessibilità, la capacità di adottare velocemente un piano B se capita l’imprevisto, che ho scoperto essere invece una grande caratteristica della nostra cultura.”