FOLLONICA – Cannoni, utensili, opere d’arte e macchinari di ogni tipo. Si è prodotto di tutto, nei secoli, alle fonderie follonichesi ex Ilva come ricorda Marco Stefanini «La testa d’ariete è un esempio di cosa erano capaci i nostri antenati (nemmeno troppo lontani nel tempo). Lo stabilimento era contenuto dentro un’area ben delimitata, attorno alla quale è poi cresciuta la nostra città. Poi lo stabilimento è morto, ragioni politiche ed economiche ne hanno sancito la fine. A noi sono rimasti i ruderi e diversi edifici da riutilizzare. Ne sono state fatte scuole, biblioteche, teatri, magazzini, ricoveri e altro».
«Il tutto – ricorda Stefanini – era “contenuto” dal muro di cinta, detto Muro Leopoldino, dal nome di chi volle la costruzione delle fonderie, Leopoldo di Lorena. Il muro è arrivato fino ai giorni nostri, quando venne deciso di rivitalizzare e creare qualcosa di nuovo dal vecchio stabilimento e il vecchio ippodromo, il Parco Centrale. Poco prima dell’inizio del percorso che avrebbe portato nella nostra città una ventata di “novità” e ristrutturazioni, una parte del muro Leopoldino venne distrutta, fatta crollare, buttata giù, fatta cadere. Erano i primi anni del 2000 e fu proprio il capogruppo dei DS di allora, Marcello Ranieri, a lanciare il primo grido di allarme».
«Da allora a più riprese è stato chiesto se ci fossero responsabilità (era in atto un cantiere in quei giorni) e se qualcuno si dovesse assumere l’onere di ricostruirlo con i materiali originari, allora molto evidenti ed oggi seppelliti da una montagna di rovi ed erbacce – racconta Stefanini -. Oggi, ad almeno 10 anni di distanza , abbiamo un assessore alla cultura che ha seguito lo sviluppo e l’apertura del MAGMA, il museo che contiene la storia della Follonica della ghisa e non solo. Ci chiedevamo se finalmente il Muro Leopoldino verrà ripristinato, risanando quegli strappi che sono ben visibili, purtroppo, a tutti quando si percorre l’argine della Petraia/Gora. assessore Catalani, possiamo sperare?».