GROSSETO – La perizia supplementare sugli apparati della Costa Concordia “dice che il generatore d’emergenza non funzionò, ma nessuno dei periti, né dei nostri consulenti sa dire perché. Tuttavia, se anche il generatore d’emergenza avesse funzionato, non sarebbe cambiato niente, cioè non abbiamo prova che qualcuna delle 32 vittime sia morta per il mancato funzionamento del generatore d’emergenza: di ciascun decesso sappiamo come avvenne, e nessuno è da attribuire al mancato funzionamento del generatore”. Così il procuratore di Grosseto, Francesco Verusio, commenta l’andamento, finora, delle udienze ‘tecniche’ fissate questa settimana per il processo sul naufragio di Costa Concordia. “Anche sui timoni il generatore non influì, perché la nave era alla deriva e non c’era propulsione, senza propulsione i timoni non sono utilizzabili”, ha detto Verusio, contestando indirettamente un punto di difesa di Schettino, e cioè di aver potuto manovrare la nave dopo l’urto.
Oggi il processo prosegue con un’altra udienza ‘tecnica’ sul funzionamento della nave e sulle modalità della navigazione la sera del naufragio, in cui stanno riferendo in aula i consulenti tecnici del pubblico ministero. La navigazione turistica “si fa in ore diurne, a bassa velocità e in condizioni meteomarine favorevoli”, non come la Costa Concordia che passò di notte a oltre 14 nodi, al Giglio, la sera del naufragio il 13 gennaio 2012. Lo ha detto rispondendo al pm Alessandro Leopizzi uno dei consulenti della procura, l’ammiraglio Domenico Picone, stamani in aula. E “comunque – ha aggiunto – in 40 anni non avevo mai sentito l’espressione ‘inchino’, mentre si è sempre parlato invece di avvicinamenti alla costa per motivi turistici, per consentire alle navi passeggeri di apprezzare una costa di particolare pregio naturalistico e paesaggistico”.
Il processo sta ripercorrendo ampi aspetti delle perizie sulla navigazione tenuta dalla Concordia e sul funzionamento degli apparati. Uno ha riguardato anche la questione della navigazione ravvicinata, “qualcosa – ha aggiunto l’esperto – che si è sempre fatta e i comandanti delle unità sempre si sono avvicinati a una velocità bassissima, in ore diurne e in condizioni meteomarine favorevoli. Se si deve consentire ai passeggeri di fruire delle bellezze locali, non può che essere fatto di giorno e bassa velocità”.
Emozione in aula, stamani al processo di Grosseto, quando è stata fatta ascoltare la registrazione da cui si ode, in modo distinto per la prima volta, il rumore dell’urto della Costa Concordia contro fondali e scogli del Giglio la sera del naufragio il 13 gennaio 2012, dopodiché scattano gli allarmi di bordo. Il processo sta affrontando varie ricostruzioni tecniche, fra cui quella della rotta che venne seguita e che oggi è ripercorsa ‘metro per metro’ mettendo a comparazione l’audio della ‘scatola nera’ con la carta originale su cui il cartografo Simone Canessa la tracciò su ordine di Francesco Schettino, deviando dalla rotta consueta Civitavecchia-Savona, per accostare al Giglio e passare in parallelo all’isola. La manovra, come noto, non venne completata per l’urto con gli scogli e causò il naufragio.
La cartografia di bordo era idonea ad affrontare la crociera della Costa Concordia purché in mare aperto, ma non era adatta ad affrontare – come invece decise il comandante Francesco Schettino – la navigazione sotto costa, accanto all’isola del Giglio, perché non evidenziava gli scogli. Lo ha detto uno dei consulenti della procura rispondendo al pm Alessandro Leopizzi durante l’udienza di stamani in cui si ripercorrono molti aspetti ‘tecnici’ che causarono il naufragio. La Concordia, e quindi il comandante e i suoi ufficiali, “erano in possesso di tutta la dotazione cartografica nautica necessaria per legge, per affrontare la navigazione ordinaria, cioè carte nautiche cartacee”, ha detto l’ammiraglio Domenico Picone, consulente dei pm. Il cartografo Simone Canessa tracciò la rotta sulla carta nautica 6 dell’Istituto idrografico della Marina modificando la rotta a 278 gradi, per poi deviare su un passaggio parallelo di mezzo miglio dall’isola del Giglio, e quindi fissare un nuovo way-point per ricongiungersi sulla rotta Civitavecchia-Savona: “ma – spiega il consulente – la carta utilizzata era idonea per la navigazione ordinaria” in mare aperto “ma appena sufficiente per un passaggio a mezzo miglio e assolutamente insufficiente per navigazioni più prossime alla costa del Giglio, o comunque per un avvicinamento costiero più generale” perché, con scala 1:100.000, non riporta nel dettaglio i fondali rocciosi e gli scogli su cui andò a sbattere la nave.
Anche l’ecoscandaglio, di solito utile, non poté dare dati attendibili perché, sempre secondo i consulenti della procura, la nave andava ad elevata velocità e i calcoli della profondità non potevano essere precisi. La carta utilizzata dagli ufficiali di Schettino per tracciare la rotta del 13 gennaio 2012 riporta lo scoglio de Le Scole, ma non fa vedere, non rende il dettaglio dei fondali e degli scogli minori vicini sui quali effettivamente la Concordia andò a picchiare, squarciando lo scafo sul lato sinistro. Secondo uno dei consulenti della procura, il professor Antonio Scamardella, la nave urtò a circa 15-20 metri dallo scoglio de le Scole, questo sì visibile sulla carta diversamente dalla scogliera più bassa di cui, grazie al riverbero dei flutti, si accorse Schettino all’ultimo istante, quando ormai la correzione di rotta era impossibile. Nell’acciaio dello scafo peraltro rimase incastrato un masso di questa scogliera.
I consulenti della procura hanno comunque evidenziato che l’errore di base del comandante Schettino fu di ordinare una rotta che mise la prua della Concordia puntata verso l’isola. Il timoniere indonesiano Jacob Rusli Bin, che nei momenti precedenti l’urto della Costa Concordia equivocò gli ordini di Schettino due volte, virando al contrario, “era stato ritenuto idoneo dallo stesso Schettino ed era lui stesso che l’aveva promosso timoniere”. Lo hanno detto i consulenti del pm stamani in aula al processo di Grosseto rivelando un aspetto non conosciuto della selezione del personale in plancia di comando. “Il timoniere, forse per la lingua, o non capiva gli ordini, dati in inglese, o dava conferma di un ordine facendo poi un’altra cosa – hanno detto i consulenti della procura -. Tuttavia Schettino poteva immediatamente sostituirlo con l’ allievo Ursino o con il primo ufficiale Ambrosio, ma non lo fece. Può anche darsi che Rusli Bin avesse problemi personali”, ad ogni modo “proprio in considerazione del tipo di navigazione che si stava facendo, vicino a un’isola e non in mezzo a un oceano, il comandante avrebbe dovuto subito sostituirlo”. Per i consulenti, comunque, gli errori di comprensione del timoniere indonesiano non incisero molto sulla rotta: la Costa Concordia sarebbe in ogni caso andata a sbattere sugli scogli dell’isola del Giglio.