Questa settimana Capo Nord, la rubrica de IlGiunco.net ci porta nella bellissima Cipro, grazie al viaggio vissuto e raccontato da Giulio Gasperini, per tutti coloro che amano viaggiare e confrontarsi con differenti culture, odori, sapori e le tante differenti opportunità che offre il mondo.
Cipro il Paese diviso
Cipro rivela subito di essere un’isola. Appena fuori dai portelloni dell’aereo, anche se è marzo, ti accoglie una fresca aria, leggera leggera, marina, come quelle che cerchiamo disperatamente nelle afose sere estive. È un’aria che profuma di qualcosa di indefinito, qualcosa che sa di sale, di sabbia, di vento. Ti senti circondato dal mare ancora prima di averlo visto, prima di esserti accorto dove sei, perché fuori è sera e il buio è già sceso impietoso.
Alla prima rotonda che incontri sulla strada ti sorprendi, perché l’autista la prende contromano! Un brivido di terrore! Ti verrebbe quasi da urlargli: “Ma costa stai facendo? Dove stai andando?”. Poi realizzi che anche il volante sta dalla parte sbagliata della macchina. E allora capisci che l’autista non ha preso contromano nulla; semplicemente, a Cipro, si guida a sinistra. Retaggio dell’antica dominazione inglese che durò dal 1878 al 1960, quando sotto la guida dell’arcivescovo Makarios III la piccola isola ottenne l’indipendenza. Gli inglesi, però, pretesero due basi militari, che ancora oggi esistono – nella penisola di Akrotiri, nel sud (dove si trovano le magnifiche rovine di Kourion) e nel sud-est, nella zona di Dhekelia, sulla Baia di Larnaca – e occupano vaste zone di paese, tra le più belle in assoluto.
Ma a Cipro si parla il greco, si scrive in caratteri greci, ed è come tornare alle origini della nostra storia, al tempo più remoto quando la nostra civiltà si è plasmata e ha cominciato a codificare i primi regolamenti “democratici”. La strada sarà lunga e complicata, ma sempre da lì, dalla Grecia del V secolo, bisogna transitare.
Tanti saranno i retaggi lasciati dagli inglesi che incontrerò in questi giorni di esplorazione, fusi nel tempo in una fucina di culture e tradizioni diverse e distanti: dai greci agli ottomani, dai fenici ai bizantini, dai veneziani ai francesi Lusignano. Si rivelerà isola densa di tracce e tesori, Cipro; di commistioni e tangenze, di mediazioni e sorprese. Fu isola di passaggio e soggiorno, da Riccardo Cuor di Leone, che si sposò nel castello di Limassol, a Leonardo da Vinci, a Shakespeare che chissà per quali suggestioni scelse il castello di Famagosta come ambientazione del suo Otello.
I Monti Troodos sono una delle due catene montuose dell’isola. La vetta più alta è il monte Olimpo che, per pochi metri, non raggiunge i 2000, ma che, innevato durante l’inverno, rappresenta la più meridionale (per latitudine) stazione sciistica europea. Sono piccole chiesette, che una volta furono anche monasteri e conventi: autentici gioielli immersi in verdi vallate, che per quanto anonimi possano sembrare da fuori, sono dei veri e propri scrigni di colori e rappresentazioni, realizzate dal XI al XV secolo e tutelate dall’UNESCO. Si trovano in quattro vallate, tutte vicine alle città di Kakopetria e Omodos, a ridosso dei krasohoria, i villaggi dei vini ciprioti, il migliore dei quali è senza dubbio il Kommandaria, dolcissimo, che richiama il nostro passito e che viene utilizzato nelle celebrazioni ortodosse.
Si comincia con il Monastero di Agios Nikolaos tis Stegis, ovvero san Nicola del tetto che deriva il suo nome dalla particolarità architettonica, propria di molte chiesine, di avere un doppio tetto, per meglio proteggere l’interno. Le tegole sono rettangolari, piatte, di sasso, che tingono tutto del colore della terra, dell’asciutto giallastro che sorprende al primo colpo d’occhio. L’interno è un’orgia di colori, di volti, di espressioni austere ma serene. Le pitture più antiche sono del XI secolo e raffigurano una (quasi) inedita Vergine in deisis mentre sta allattando, tra gli arcangeli, il neonato Gesù. Campeggia, come in ogni chiesa ortodossa, la grande iconostasi, la tipica struttura che conserva e presenta al popolo le icone, così tanto amate e venerate, tanto da rendere Cipro un rifugio privilegiato per i tanti artisti che, tra VIII e IX secolo, durante la guerra iconoclasta, dovettero fuggire e mettersi in salvo; e a Cipro trovarono un’isola tranquilla dove poter continuare a esprimere la loro divina arte. Poi si prosegue per Asinou e per la piccola chiesa dedicata a Panagia Forviotissa, ovvero alla Madonna, “tutta santa”, la cui immagine dipinta accoglie tutti i fedeli che entrano.
Le immagini di queste piccole chiese ritornano costanti ma dipinte in infinite declinazioni di colori e atteggiamenti. C’è sempre raffigurata la Resurrezione di Lazzaro (perché Lazzaro morì, per la definitiva volta, proprio sull’isola di Cipro, che ne conserva gelosamente ancora il teschio, nella magnifica chiesa di Agios Lazaros a Larnaca, mentre il corpo, chissà perché, è a Istanbul); c’è sempre la scena dei quaranta martiri; spesso c’è San Mamas, a cavallo di un leone con in braccio un agnello. Le chiesette sono tante, quasi un arcipelago; stelle di una costellazione. Spesso sono solo dei piccoli santuari, ma non per questo decorati con meno attenzione e devozione.
E arriva la prima sera, e il primo tramonto. A Cipro il sole indora, ammanta di luce. Il cielo ha sfumature rosa, di pompelmo sugoso. E la sera scende sempre lenta, senza fretta; dà tempo al mondo di regolare il respiro e di convertirlo in riposo.
Cipro è roccia, sassi spugnosi che assorbono il sole, il caldo, che sembrano asciugare l’aria. La vegetazione è cespugli, arbusti: una “macchia” mediterranea odorosa e saporosa, golosa. C’è il lentisco, c’è il mirto, c’è il corbezzolo. Ci sono le margherite, tranquille e grandi, che profumano di camomilla. Ci sono gli ulivi, piccoli che paiono cespuglietti, quasi mai potati ma lasciati crescere fronzuti e vaporosi, con le loro piccole foglie che appena mosse dal vento paiono tante schegge d’argento che balenano contro zolle secche. Si addensano magnifici cedri, quasi eterei, che per vocazione ci rimandano subito a paesaggi da Cantico de’ Cantici, a fiabe d’amore e di passioni. A colorare, c’è una mimosa particolare, dai fiori grossi che esplode di giallo acceso nel pallore della terra polverosa. Tra questa vegetazione, tra i pini che crescono a più elevate altitudini, si aggira il muflone, animale endemico dell’isola, la cui raffigurazione trova spazio anche nei centesimi di rame dell’euro cipriota.
Cipro ha colori intensi, naturali: ha una tavolozza piena, polposa, di colori stesi pieni e pastosi. Ma Cipro è isola arida. Sono state realizzate dighe e, recentemente, impianti di desalinizzazione per poter utilizzare l’acqua del mare. Ogni casa, sul tetto, ha una cisterna d’acqua, orribile a vedersi, ma utile a vivere in questa che d’estate diventa una fornace. A ferire questa natura, inoltre, c’è un’accentuata brutalizzazione cementifera: villette, case, costruzioni non meglio identificate, sovente non concluse, lasciate incomplete, spesso titaniche e persino un po’ pacchiane, con sciatteria disarmante in un ambiente di tanto dolci linee e armonici profili.
Si vede tutto questo, avvicinandosi a Nicosia, che oggi i greco-ciprioti preferiscono chiamare Lefkosia. Arrivando alla capitale dal sud, da Limassol, la Storia (quella prepotente, quella tirannica, che compie gli affronti e se ne vanta) si fa ricordare, altera. Tatuata sulla montagna che sovrasta Nicosia, sulle pendici della catena Pentadaktylos, una bandiera bianca, con una luna stellata al centro. Enorme, la bandiera. Quella dello stato illegale dichiarato dopo il luglio 1974, quando la Turchia invase l’isola, rivendicandone un’affiliazione mai esistita né motivata. E nacque la Repubblica turca di Cipro del Nord.
I muri a Cipro non sono così evidenti. Non come in Israele, non come la muraglia che esclude Betlemme e tanti altri paesi palestinesi. Ma ci sono. E fanno forse anche più male a noi europei, che ci siamo attribuiti (senza merito né vergogna) un Nobel per la pace, ma che non siamo in grado di risolvere una situazione che dilania un popolo e uno stato. Dal 2004 Cipro è nell’Unione Europea. Dal 2008 ha l’euro. E oggi, i cartelli “For sale” e “For rent” si moltiplicano sulle vetrine cieche di negozi e su scheletri di case che continuano faticosamente a essere innalzati nella polvere dell’isola. Su Cipro pesa la dittatura di un’Europa che è fatica, rigore asfissiante, ancora prevalsa di interessi nazionali su quelli comunitari. Cipro ha rischiato di fallire per aver aiutato i fratelli greci: e per questo suo atteggiamento di velata ribellione, è stata punita senza remore.