GROSSETO – «Come ogni anno gli allevatori di pecore sono sotto assedio da associazioni alla ricerca di facili consensi che propongono immagini toccanti di agnellini indifesi, vittime presunte di chissà quali atrocità e sevizie». A parlare è Antonfrancesco Vivarelli Colonna presidente Confagricoltura Grosseto. «La proposta di legge presentata dall’onorevole Brambilla, contraria alla macellazione di animali, tra cui gli agnelli, sotto i sei mesi è un nonsense. Che differenza c’è tra un agnello macellato ad un mese ed uno macellato a 6?» chiede Vivarelli che poi risponde: «Nessuna, l’unica ripercussione la soffrirebbe l’allevatore che, oltre a trovarsi costretto a sobbarcarsi oneri di mantenimento spropositati ed illogici economicamente, troverebbe il proprio prodotto non incontrare rispondenze di mercato, in quanto le caratteristiche organolettiche di un agnellone sono completamente diverse da quelle di un agnellino da latte, e poi significherebbe dare il via ad una rivoluzione che comporterebbe il cambiamento dei metodi di allevamento, delle razze allevate e di tutta una filosofia che affonda le sue radici nei secoli passati».
«Inoltre, come si possa sostenere che la vita di un animale di 6 mesi sia più o meno importante di quella di un animale di un mese – continua Vivarelli -? Non è che dietro questa scellerata proposta si nasconde una strumentalizzazione speculativa atta a danneggiare un settore produttivo a discapito di un altro, forse quello ittico in cui la sostenitrice ha importanti interessi personali? Oppure semplicemente per ottenere una visibilità che sembra in forte decadenza sfruttando l’immagine dolce ed accattivante di un agnellino indifeso? Come mai dovrebbe la vita di un agnellino essere più degna di compassione di quella di un porcellino, un vitellino, un coniglietto o altro ancora? Forse l’obiettivo vero è quello di portare danni economici al settore visto che si vorrebbe proporre al mercato un prodotto che non vuole».
«La cultura agropastorale ha permeato la Maremma da sempre, con le tradizioni ad essa collegate. Tra queste anche il consumare l’agnello a Pasqua, che nessuno ha mai ritenuto un delitto – continua ancora la Confagricoltura -. Bisogna che si lasci la libertà a chiunque di festeggiare come meglio crede, di rispettare le tradizioni consolidate e di consumare prodotti di qualità e genuini. E tutto ciò decreterebbe la fine del comparto ovicaprino maremmano e non solo, perché da esso deriva anche il settore lattiero caseario e quello della lana, con una importante e conseguente flessione dei livelli occupazionali, oltre che la perdita di un’attività tradizionale. Provo un profondo dispiacere nel pensare che i pastori, persone che amano e curano i propri animali, siano descritti come degli assassini».
«La situazione dell’allevamento ovicaprino è arrivata a un punto critico, non certo per colpa di vegani o animalisti, quanto a seguito della importazione massiccia di carni dall’estero a prezzi talmente bassi da far dubitare anche della loro qualità e salubrità. I nostri allevamenti non hanno certo bisogno di ulteriori danneggiamenti, sono in crisi anche a causa dei crescenti orpelli burocratici, lacci e lacciuoli che impegnano l’allevatore in termini di costi e tempo. Quindi è scontato che si debba puntare prioritariamente a chiedere la giusta tutela, la tracciabilità e la visibilità delle carni nostrane a cui si deve abbinare una comunicazione corretta sulle diverse tipologie di prodotto italiano. Quindi, in attesa che si muovano le istituzioni, invito tutti coloro che amano mangiare la carne ovicaprina a consumare solo quella italiana o altrimenti, per chi non ha l’allevatore amico o non sa dove reperire carne certificata, di pretendere dal macellaio di fiducia una garanzia sull’origine. Se la carne ha un prezzo troppo basso certamente la provenienza non è italiana. Sotto i 9-10 euro al chilogrammo per l’agnello e i 12-15 euro al chilogrammo per il capretto c’è da lasciare perdere, visto che già questi prezzi significano un guadagno irrisorio per l’allevatore. Una cosa è certa; il mondo non smetterà di mangiare carne, nonostante gli sforzi della signora Brambilla – conclude Vivarelli -, ma le cose potranno migliorare per la nostra economia se la gente consumerà carni dei nostri sani e tradizionali allevamenti».