a cura di Giulia Carri
ALGERIA – Paolo Renzi, 51 anni di Massa Marittima. Da molti anni lavora come Operations Manager dei siti petroliferi in molti paesi, dove trascorre diversi mesi l’anno. Attualmente è in Algeria.
Come hai cominciato questa professione in bilico tra l’Italia e il mondo?
“Sono un perito minerario poi laureato in geologia a Siena. Guardandomi indietro mi considero fortunato. Dopo poco essermi abilitato alla professione, nel ’90 ho cominciato a lavorare come geologo di cantiere sui pozzi petroliferi. Allora era una professione ricca di possibilità per un lavoro come il mio. Ho cominciato con compagnie italiane. Nel 2000 ho fatto il mio primo contratto estero e sono andato in Libia, poi Albania, di nuovo Libia, Venezuela e Congo. Cominciando a lavorare con un’azienda americana sono partito per il Kazakistan. Infine Egitto e adesso Algeria. Ecco gli ultimi dieci anni.”
Quanto ti trattieni fuori ogni volta?
“Mediamente faccio 5 settimane fuori e 4 a casa. In passato ho fatto anche periodi più lunghi. In pratica, vivo diviso tra la Maremma dove ho la mia famiglia e il paese dove, di volta in volta lavoro.”
Di cosa ti occupi nello specifico?
“Dirigo le operazioni di cantiere, seguo le strategie di marketing e ne elaboro di nuove per l’espansione dell’attività della mia azienda nel paese in cui opero. La sede della compagnia è ad Houston con uffici a Roma ed Algeri e la mia base operativa è attualmente ad Hassi Messaoud. Faccio molto avanti e indietro. Sono contento della mia professione, ma ovviamente non è semplice.”
In quale paese hai vissuto la situazione sociale più difficile?
“Il Kazakistan. Professionalmente è stata un’esperienza favolosa, umanamente tanto amara. Non in prima persona per fortuna, ma ho visto il degrado che la cupidigia, che il mondo del petrolio può creare. Anche il Congo è stato difficile, nel ’96. Enorme povertà e grande militarizzazione post guerra civile. L’esercito è stato rude ed arrogante in più occasioni.”
Quella più bella invece?
“L’Egitto. Dove ho avuto la fortuna di lavorare per quattro anni prima dello scoppio della rivoluzione del 2011. Un paese bellissimo e persone cordiali anche se, a volte, testardamente radicati nella loro cultura. Ho avuto anche il piacere di condividere l’esperienza con mia moglie e mia figlia che ogni tanto sono venute a trovarmi e ci godevamo il paese viaggiando. Sono scappato la sera prima dello scoppio della rivoluzione. Adesso le cose sono molte cambiate. Rimane per me l’esperienza umana più bella che ho vissuto. Ho imparato la gratitudine vera per cose che noi consideriamo scontate e minime, come una bottiglietta d’acqua. Mi ha anche permesso di vivere l’Egitto vero e quotidiano, vedere i processi che hanno portato alla rivoluzione. Nel 2007 ad Alessandria già c’era la fila per il pane e il riso. Ho conosciuto il paese oltre l’idea turistica che ci hanno venduto, che non ci fosse un diffuso benessere, si sapeva molto prima del 25 gennaio 2011.”
Come ti trovi in Italia lavorando sempre all’estero?
“La mia famiglia e la mia vita privata a Massa Marittima sono quello che mi rigenera e rende più felice. Per il resto, dopo tutti questi anni di lavoro all’estero, mi sento lontano da alcuni aspetti dalla mentalità lavorativa che c’è in Italia. I tempi Italiani sono lunghi e dispersivi. E’ una cosa che ho visto solo nel nostro paese e non è accettabile se vogliamo essere davvero competitivi nel mondo.”
Parlando di Maremma, cosa potenzieresti o cambieresti?
“Cambierei la mentalità. Se la Maremma abbandonasse un po’ di campanilismo e guardasse davvero a ciò che ha e che potrebbe fare, saremmo una macchina da guerra. Abbiamo un dono della vita tra le mani, ma sia l’ospitalità che l’accesso alle informazioni e la viabilità in Maremma lasciano spesso a desiderare, questo ci penalizza parecchio.”
Le persone che hai conosciuto negli anni conoscono la nostra zona?
“Sì, molto amici e colleghi inglesi e olandesi che frequentano la nostra zona. Anche francesi e amici corsi apprezzano molto questo territorio.”