GROSSETO – Le maestranze della ex Mabro che hanno lavorato fino al fermo produttivo deciso dal commissario giudiziale, esprimono forte preoccupazione per l’esito negativo del primo bando per l’acquisizione dell’azienda, dato che ad oggi nessuna offerta è stata presentata. Ritengono però giusta e corretta la decisione del commissario Giampiero Russotto, di prorogare i termini di scadenza e di rendere più flessibili i criteri di presentazione delle offerte, augurandosi che questa nuova fase dia migliori risultati della precedente. Senza acquirenti si aprirebbero le porte del fallimento, che può significare la chiusura definitiva.
«Siamo in una fase delicata e forse decisiva, occorre avere nervi saldi ed evitare di lanciare messaggi impropri, che possano allontanare eventuali acquirenti – spiegano le maestranze -. L’idea che che abbiamo è semplice e chiara: vogliamo salvare la nostra azienda ed i posti di lavoro, vogliamo lavorare, pronte a dare la massima collaborazione all’imprenditore che vorrà scommettere sul rilancio della Mabro». Non manca una stoccata alle colleghe: «Riteniamo inutili e dannose le sovraesposizioni mediatiche che hanno accompagnato questa vicenda, comprese quelle di questi ultimi giorni. Siamo convinte che questo genere di pubblicità non aiuta perché ne esce un’immagine delle lavoratrici e lavoratori falsa e fuorviante, che danneggia ancor di più l’immagine dell’azienda. La Mabro non è questa, la grande maggioranza è fatta di persone che vogliono andare al lavoro e non in televisione a lamentarsi e protestare».
Il messaggio che vogliamo dare all’esterno è quello di un’azienda dove sono presenti notevoli competenze professionali e volontà di ricominciare, lo scorso anno molte di noi hanno lavorato senza stipendio, pur di mantenere attivi gli impianti e non perdere i clienti, sarebbe un peccato se questi sacrifici, fossero vanificati, ogni giorno che passa con le macchine ferme crea ulteriore danno – concludono le maestranze -. Non chiediamo commiserazione ma rispetto, la nostra dignità non ci permette di piangere in pubblico, tantomeno di essere commiserati ad ogni tavolo. Vogliamo lavorare e guadagnarci lo stipendio, come tutti i lavoratori, per noi e per le nostre famiglie».