GROSSETO – “Alle 1.30 partimmo da Genova per il Giglio con altri colleghi dell’unità di crisi, ci fermammo prima a Livorno, alla capitaneria di porto dove c’erano l’ammiraglio Dell’Anna, il comandante De Falco, altri ufficiali. E’ da lì, dopo le 4, che parlai al telefono con Schettino e gli dissi che non c’era bisogno che risalisse lui a bordo della Concordia. Era scosso, provato. Gli dissi che a bordo ci sarebbe andato il safety manager della nave Martino Pellegrini”. Lo ha raccontato il dirigente di Costa spa, Paolo Mattesi, teste oggi al processo di Grosseto, che faceva parte dell’unità di crisi della compagnia la sera del 13 gennaio 2012 come direttore della ‘safety’ della flotta e vice Dpa (Designated person ashore), figura di contatto fra le navi in mare e le strutture operative di terra della stessa Costa Crociere.
”Quella sera – ha anche ricordato – ero sceso da un aereo dall’Inghilterra, trovai due sms sul cellulare da cui capii che c’era un problema. A mezzanotte e mezzo arrivo in sala unità di crisi Costa a Genova. Trovo l’ingegner Parodi che era con personale del Rina, l’ente di certificazione, in una sala attigua. Roberto Ferrarini (a capo dell’unità di crisi quella sera, ndr) mi dice che la nave era già sbandata di 80 gradi”. Mattesi in aula ha ripercorso le fasi dell’emergenza e ricostruito il flusso di informazioni frammentarie che via via giungevano a Genova. Sempre durante la sua testimonianza sono state fatte anche ascoltare due telefonate del 25 febbraio 2012 con un altro comandante di nave Costa, Massimo Garbarino, il quale discute con lui se fosse corretto o meno lasciare alcune porte stagne della nave aperte durante la navigazione per motivi pratici (per accedere agevolmente ai locali lavanderia e biancheria). Garbarino dice di non voler ”finire sulla graticola”, ma Mattesi lo rassicura e gli suggerisce di tenere le porte stagne chiuse nei periodi in cui l’equipaggio non ha bisogno di movimentare i carrelli.
“Dopo l’incidente della Concordia, la Costa ha reso obbligatorio per i comandanti delle sue navi fare test con lo psicologo”. Lo ha riferito al processo di Grosseto Maurizio Campagnoli, ‘industrial and employees relations director’ di Costa Crociere e componente dell’ufficio legale della compagnia di navigazione, testimoniando oggi al processo. Quella che era una prassi in uso nella compagnia, è stato spiegato dal teste, è diventata una procedura obbligatoria che i capitani di nave devono osservare periodicamente. Anche Campagnoli ha riferito della riunione dell’unità di crisi alla sede della Costa a Genova la sera del 13 gennaio 2012, mentre era in corso il naufragio all’Isola del Giglio. ”Arrivai all’unità di crisi intorno alle 23 – ha raccontato -, c’erano Ferrarini e Parodi e chiesi immediatamente cosa fosse successo. Mi dissero che sulla Costa Concordia c’era stato un black out”. Inoltre ”Parodi disse che la nave poteva essere riparata” ha proseguito Campagnoli che vide ”Ferrarini che tramite auricolare stava parlando con Schettino, ma non sentivo quello che diceva al comandante. Mi ricordo quello che confermò Ferrarini, cioè che era stata da poco data l’emergenza generale”.