Di Barbara Farnetani
GROSSETO – «Vorremmo che ci fosse più rispetto da parte di Schettino e della Concordia per le vittime, ma non ne hanno lo hanno dimostrato mancando per il secondo anno a questo appuntamento» a parlare è l’avvocato di parte civile Massimiliano Gabrielli, intervistato dai giornalisti subito fuori dall’aula. «Di fatto – continua Gabrielli che vede in capo alla Costa responsabilità gravissime nel naufragio al pari dello stesso Schettino – Costa ci ha impedito di fatto di essere al Giglio, non organizzando transfer per raggiungere l’Isola. Lo scorso ha tentato di allontanare i naufraghi chiedendo di non andare. Il sindaco Ortelli sta tentando, in questo momento, di organizzare una corsa speciale per raggiungere il Giglio».
«Questo rito espiatorio contro Schettino non basta – afferma l’avvocato di parte civile Cesare Bulgheroni – chiediamo che vengano allargate le responsabilità pregresse, fino al naufragio sembrava tutto perfetto su questa nave, poi sono uscite le magagne: nella preparazione del personale e nei mezzi e dispositivi di sicurezza che non erano adeguate. Ricordiamo che la Concordia ha altre navi gemelle che solcano ancora i mari». «A distanza di due anni dal tragico naufragio della Costa Concordia sono ancora troppi i misteri che ruotano attorno all’incidente, mentre il processo in corso a Grosseto presenta troppe falle e lacune – afferma il Codacons -. Dopo due anni i parenti delle vittime non hanno ancora ricevuto giustizia e non è stata fatta chiarezza sulle reali cause che hanno determinato il naufragio – spiega l’associazione – Il processo sembra andare a senso unico e tenere fino ad oggi in scarsa considerazione i malfunzionamenti e le carenze a bordo della Costa Concordia, che potrebbero aver contribuito a determinare i decessi».
Sono molte le voci che chiedono di essere ascoltate, molti i naufraghi che, incapaci di dimenticare un evento tanto tragico, vogliono parlare, raccontare quel naufragio senza senso, quelle ore assurde e concitate. Una trentina i passeggeri che, in una sorta di corteo, hanno raggiunto l’aula in cui si svolge il processo contro il comandante Francesco Schettino, e che questa mattina, causa sciopero degli avvocati, non era presente al teatro Moderno dove si svolge il processo.
Dopo il minuto di silenzio in aula molti naufraghi partiranno per il Giglio, per vedere ancora una volta quella piccola isola che fu salvezza, calore, un the caldo, un letto in cui dormire. «Proprio oggi – racconta la giornalista Mara Parmeggiani che era sulla nave con una collezione di abiti dagli anni 50 ad oggi del valore di un milione di euro – abbiamo presentato al Parlamento europeo una interrogazione per chiedere la regolamentazione del passaggio delle grandi navi da crocera vicino alle coste. Un regolamento che non può non coinvolgere anche la Guardia costiera che dà i permessi alle navi di avvicinarsi; – poi la donna racconta – nel naufragio ho perso un patrimonio inestimabile una collezione di abiti di alta moda firmati anche da Fontana. Avevo chiesto di mandare qualcuno a salvarli ma Costa se ne è disinteressata».
Holly Kozlova, russa, che era sulla Concordia per lavoro con sette modelle e i figli di 7 e 14 anni ricorda soprattutto il panico. «4 delle mie ragazze non sapevano nuotare e stavano aggrappate a me, terrorizzate –racconta – siamo andati in cabina a prendere i salvagente, poi siamo saliti sulla scialuppa che si è quasi ribaltata tanto la nave era inclinata. Quello che vorrei sapere è cosa è successo, perché ci hanno preso in giro. C’era gente anziana che non stava in piedi, che camminava sui muri. Nessuno ci ha detto nulla, pensavamo di essere in mezzo al mare. Come faranno i miei figli a superare questo trauma?»
«Quando siamo riusciti finalmente a toccare il mare con la nostra scialuppa il cuoco che guidava il mezzo ci ha detto di coprirci bene che ne avremmo avuto per un bel po’. Nessuno, neppure il personale, aveva la più pallida idea di dove ci trovassimo, tutti noi credevamo di essere in mezzo al mare» a parlare è Chiara Castelli, di Biella, che era sulla nave con la figlioletta di 3 anni e l’ex marito.
Ma questa sua affermazione ritorna in molte testimonianze, «se ci avessero detto che eravamo così vicini, forse qualcuno avrebbe tentato di raggiungere la riva a nuoto, pensavamo di essere in mezzo al mare e invece…». Chiara Castelli in passato aveva lavorato per MSC Crociere, e ha subito notato come «qui regnasse il panico. Non c’erano master station alle scialuppe, tutto era lasciato al caso. Noi siamo scesi con l’ultima scialuppa, dopo quella che si è incastrata vedevamo cadere giù i salvagente e la gente che si tuffava per prenderli. Ho fatto credere alla mia bambina, Alice, che questo era un gioco, che uno scoglio aveva mangiato la nave, stavamo assistendo allo spettacolo di magia quando c’è stato l’urto. L’ho protetta dal trauma. La nave si stava inclinando sempre più. A poppa imbarcavano sulle scialuppe e da noi no, siamo riusciti a salire solo alle 23.30. Oggi – conclude – ero qui perché volevo incontrare Schettino, volevo parlargli, chiedere come fa a dormire. Oggi era il primo che avrebbe dovuto esserci, assieme a Costa».