di Lorenzo Falconi
GROSSETO – L’assemblea unitaria che si è tenuta ieri pomeriggio in fabbrica, fa emergere i primi disappunti in una lettera firmata da oltre 80 dipendenti della ex Mabro. Qualcosa, secondo loro, non torna, a partire dalla confusione generata dalle dichiarazioni di Giampiero Russotto (nella foto in basso). «Il commissario ha esordito sostenendo che la legge Prodi era un atto automatico e pertanto il ricorso al giudice era perfettamente inutile: affermazione priva di ogni fondamento – sostengono i lavoratori -. Poi è passato al balletto delle soluzioni. Prima una cooperativa sarebbe stata la sola soluzione praticabile, poi due importanti società, Armani e Forall, avevano manifestato interesse e quindi si sarebbe proceduto con il bando, infine lo spezzatino proposto alle organizzazioni sindacali. Su questa ultima proposta siamo giunti all’assurdo: affitto di ramo d’azienda, anzi no cessione di ramo d’azienda a due misteriosi soggetti interessati, anzi ancora no due cessioni e una cooperativa, anzi, contrordine, la cooperativa non è possibile. In condizioni simili raggiungere lo stato confusionale è normale. Avremmo invece bisogno di una robusta dose di chiarezza».
Nel loro documento firmato, i dipendenti pretendono chiarezza, una volta per tutte: «Partiamo da un punto fermo, non siamo ancora entrati nella procedura della legge Prodi, lo saremo dopo che il commissario avrà consegnato la dovuta relazione al giudice, al massimo 60 giorni, e dopo che quest’ultimo avrà emesso un ulteriore provvedimento, al massimo ulteriori 30 giorni – spiegano -. Nel caso il commissario non rilevasse possibili condizioni favorevoli, il giudice emanerà un provvedimento di normale fallimento. Normale perché anche la legge Prodi è, per la proprietà, un fallimento». Per i dipendenti firmatari del documento, resta evidente il no allo “spezzatino” di azienda, con una serie di divisioni ritenute impraticabili: «Se i tempi si accorciano e se la attività della nostra azienda riparte ancor prima di attivare effettivamente la Prodi saremo le prime ad esserne contente. Noi sappiamo che la nostra azienda è un’unica attività produttiva e dividerla in due o più rami vuol dire condannare tutti al fallimento entro breve tempo. Sappiamo anche che purtroppo le nostre divisioni resteranno, ma le abbiamo sempre avute e non ci hanno mai impedito di lavorare gomito a gomito, svolgendo bene il nostro lavoro».
Le conclusioni portano direttamente ai sospetti di manovre poco chiare: «La mancanza di chiarezza soffia sul fuoco e allora iniziamo a ragionare su chi potrebbe guadagnare da questa accellerazione. Certamente sbagliamo ma sospettiamo che solo il concordato Royal Tuscany trova beneficio da tale soluzione, perché un eventuale impegno di affitto dell’intero edificio potrebbe portare al rigetto o a un rinvio della richiesta di fallimento da noi avanzata, perché si affermerebbe che con i ricavi derivati dalla locazione di potrebbe soddisfare i creditori, soprattutto noi stessi, e quindi portare finalmente a conclusione il concordato – concludono i dipendenti della ex Mabro -. Sicuramente sbagliamo, ma il ragionamento presenta una indubbia logica».