a cura di Giulia Carri
LONDRA – Il dottor Lorenzo Micco nasce e cresce nei pressi di Montiano, condivide con me gli anni del liceo e lo ritrovo una sera in un Pub di Londra, alla sua festa di saluto, perché con la moglie Alessandra e la bimba che aspettano hanno deciso di tornare per sempre in Maremma.
Quando sei partito per l’Inghilterra e perché questa scelta?
«Sono partito il 9 Gennaio 2009. Stavo facendo il dottorato a Bologna ma avrei dovuto aspettare 3 anni per iniziare la specializzazione in medicina interna in Italia. Il caso mi dette la possibilità di continuare il lavoro di laboratorio in uno dei più importanti laboratori al mondo (L’ UCL di Londra, per cui avevo richiesto una borsa di studio da 30.000 euro che ho vinto per 2 anni consecutivi). In poco tempo mi sono ritrovato a fare un lavoro di laboratorio noiosissimo, ma a girare per il mondo gratis. Quando ho finito il dottorato a marzo del 2011, ho iniziato a lavorare come medico in medicina d’urgenza al King’s College Hospital di Londra. Ho lavorato lì per un anno e mezzo, poi sono entrato in quella che è la nostra specializzazione e lavorato come medico di base per tre anni tra le campagne inglesi, ma più passava il tempo più capivo che preferivo le campagne della Maremma».
Come è stata la tua vita in Inghilterra?
«Semplice e divertente finchè io e mia moglie Alessandra facevamo il dottorato. Uscivamo spesso e abbiamo conosciuto persone di tutto il mondo. Quando ho cominciato a lavorare in ospedale tutto è cambiato. La vita è stressante ed il carico di lavoro enorme, il tempo libero che hai lo passi ovviamente con tua moglie, non riesci a fare altro… Voglio dire, Londra è gigantesca, se sei fortunato hai gli amici nel tuo quartiere ma non era il nostro caso, quindi vedere le persone diventava un altro lavoro il fine settimana e per noi era insostenibile, non ci piaceva».
Cosa pensi del sistema inglese, come ti sei trovato?
«Come ogni realtà ha pregi e difetti. Tutto funziona bene in Inghilterra ma la burocrazia per testare le tue credenziali di cittadino è snervante. Quando inizi a lavorare lì controllano qualunque cosa del tuo passato per essere sicuri che non tu non sia un criminale… troppo a volte. Guadagnavo molto, ma spendevo altrettanto perché è un paese carissimo. Tanta rigidità però la ritrovi in un sistema di tassazione che non ti uccide, anzi ti restituisce i soldi se per qualche motivo paghi troppo, e in tante ferie pari al tanto, tanto, lavoro. Un ospedale a Londra è tre volte più veloce e popolato di uno italiano, il rapporto umano cede il posto all’efficienza, non puoi fare altrimenti quando da solo devi affrontare 17 ingressi in pronto soccorso… Hai poco tempo per i rapporti umani».
Le persone che hai incontrato in questi anni conoscono la Maremma?
«Gli italiani sì, ma superficialmente. Gli inglesi poco, la mia supervisor però veniva spesso dalle parti di Roccastrada perché un collega aveva la casa lì ed ovviamente l’adorava. Poi ho lavorato con un primario di Londra che aveva la barca a Marina di Grosseto e a quanto ho capito anche diverse amanti sparse per la Toscana!»
Sei riuscito a tornare spesso in questi anni? Come hai vissuto da lì la Maremma?
«Su Skype purtroppo! Casa, la nostra zona mi è sempre mancata. Anche ad Alessandra che è diventata maremmana per adozione ormai. Mi mancavano le estati e vivere la tragedia dell’alluvione da lontano senza poter aiutare le persone con cui sono cresciuto e amo, è stato bruttissimo».
Come mai, nonostante il lavoro, avete deciso di tornare?
«Perché dopo cinque anni la mancanza è stata più forte di ogni stipendio. Aspettiamo una bambina adesso e vogliamo crescerla qua con il sole, la famiglia, gli amici, il cibo buono, i cighiali e tutta la gente della Maremma».
Su cosa la Maremma dovrebbe puntare secondo te?
«Sullo sviluppo sostenibile al 100%. Diminuire la cementificazione, valorizzare i tesori di cibo, vino e territorio che possiede e promuovere un turismo intelligente. I maremmani hanno una cultura e una saggezza che nasce dalla terra e dal senso di comunità. Vorrei continuasse ad essere così».