BORGO SANTA RITA – Dopo tante critiche è direttamente l’azienda che dovrà realizzare l’impianto a biomasse di Borgo Santa Rita a intervenire. La Ge.Ca. lancia l’allarme occupazione e parla di «110 posti di lavoro a rischio» se l’impianto non dovesse partire. 110 posti di lavoro che sarebbero «offerti dal progetto industriale previsto a Santa Rita a cui è collegata la realizzazione di una centrale a biomasse legnose vergini» (nella foto immagine di repertorio).
«Un progetto innovativo e sostenibile» lo definiscono dall’azienda e in linea con quelli che sono gli orientamenti dei «paesi europei più evoluti dove le centrali a biomasse sono diffuse», mentre in Italia sono «molto diffuse nelle regioni alpine, dove la lavorazione del legno ed il suo utilizzo termico sono diffusi e “rispettati” da molti anni».
«Nel nuovo impianto – spiegano – è prevista la lavorazione del solo legno vergine raccolto in filiera corta, a non più di 70 chilometri dall’impianto di lavorazione, che consentirà di produrre ogni anno 55mila bancali (pallets),oltre a pellets, vasi ecologici e altri prodotti legati alla filiera del legno che verranno immessi sul mercato a prezzi assai competitivi grazie al costo zero dell’energia ottenuta da una tecnica basata sulla gassificazione diretta della legna in circuito completamente chiuso».
Ma secondo l’azienda il progetto e i 110 posti di lavoro sarebbero a rischio. «Nonostante infatti il progetto sia ancora sottoposto alla procedura di valutazione tecnica da parte delle autorità e degli enti competenti per la verifica del rispetto di tutte le leggi e le normative vigenti, alcuni soggetti si sono costituiti in un comitato che altro non ha fatto se non strumentalizzare le immagini di disastri ambientali ed umani di ben altra origine, tendenti a divulgare ‘terrorismo’ ecologico a concessione zero e nascondendo la verità sull’iniziativa e sulle reali fonti molto più inquinanti che ci circondano e fanno parte del nostro quotidiano».
«Molti sono gli studi svolti in tutta Europa che hanno dimostrato e verificato che in termini di polveri ultrafini i maggiori contributi alla dose giornaliera derivano dal traffico veicolare in area urbana e da sorgenti di combustione in ambienti indoor come ad esempio le attività di cucina. A tal riguardo, oltre il 70-80% della dose ricevuta da soggetti residenti in Italia deriva da contributi relativi alle proprie abitazioni».
«Se si vogliono accettare solo fonti a inquinamento zero – concludono dall’azienda -, iniziamo subito a risolvere il problema smettendo di viaggiare in auto, di coltivare i campi e di scaldarci se non con l’energia nucleare prodotta all’estero».