di Barbara Farnetani
GROSSETO – Si chiama Shoefiti, acronimo tra Shoes (scarpe) e graffiti, o anche scarpe volanti, ed è la pratica di appendere scarpe, legate assieme dalle stringhe, ai fili della luce o del telefono, o ancora ai semafori. Insomma in posti particolarmente alti, in modo che restino lì, penzolanti, più o meno in eterno. Una sorta di arte di strada, che è nata, manco a dirlo, negli Stati Uniti, e che poi, piano piano, si è diffusa un po’ in tutto il mondo, prima le grandi città, e poi le realtà più periferiche. Anche a Grosseto da qualche mese, in zona stazione, tre paia di scarpe da ginnastica tipo converse, fanno bella mostra di sé.
Come gli abili shoefiter riescano ad esser tanto precisi è un mistero. Le scarpe, legate assieme, diventano una sorta di bolas che vengono poi lanciate al bersaglio, non si sa se centrato al primo lancio. Il fenomeno, di cui si ignora il significato originario anche se le ipotesi sono le più varie, era comparso anche in un film di Tim Burton, “Big fish”.
Il perché di questa pratica è oscuro. Se ora è probabilmente solo una moda, c’è chi sostiene sia nato per indicare le zone dello spaccio, o ancora delimitare i confini di una banda, o la fine della scuola, o ancora il passaggio all’età adulta con il matrimonio. C’è poi chi lo lega alla fine del servizio militare, con i soldati che lanciano gli scarponi legati per le stringhe a indicare la fine della naja.