GROSSETO – Le rappresentanti sindacali della Cgil di Abbigliamento Grosseto, scrivono una lettera aperta, in base alla richiesta di una disponibilità per una seduta straordinaria sulla vicenda Mabro, inoltrata al Presidente del Consiglio Comunale e al Sindaco. «Avremmo voluto far capire a tutti che non chiediamo di sostenere una azienda senza futuro, come afferma la signora Mansi che non ci ha ancora dato risposta, ma che il nostro è un settore che produce ricchezza e che può farlo anche per il nostro territorio – scrivono le Rsu -. Avremmo voluto discutere del documento che abbiamo inviato a tutti, che la stampa ha riportato, ma che nessuno ha commentato. Critiche, rilievi, osservazioni sarebbero state molto utili. Poi abbiamo capito che la discussione in Consiglio Comunale su quel documento non si deve fare perché dà fastidio a molti».
«Ci dispiace procurare problemi e ce ne scusiamo, ma crediamo che il compito della politica e delle amministrazioni locali non è solo quello di dare solidarietà, comunque sempre ben accetta, ma quello di creare le condizioni migliori per la collettività. Ringraziamo ugualmente il Consiglio Comunale, lo togliamo dall’imbarazzo rinunciando alla nostra richiesta, e proviamo a parlare a distanza, a mezzo stampa – proseguono le Rsu -. Quasi tutte abbiamo lavorato come apprendiste e come operaie in piccole aziende, ora scomparse, che producevano, spesso in conto terzi, pantaloni, camicie, maglie, giacche, giubbotti, piumini, costumi da bagno, reggiseni. Molte nostre compagne di lavoro di allora sono ora disoccupate, in cerca di lavoro, precarie, ma sempre con una capacità professionale uguale alla nostra. Abbiamo visto la sfilata di abiti “stile maremmano” fatta al Wine food shire, una evidente dimostrazione che gli ambiti di mercato praticabili non riguardano solo l’alta moda. Allora se quello che abbiamo scritto nel nostro documento ha un qualche fondamento, perché non provare ad ampliare il ragionamento? Saremo anche ingenue ed ignoranti, ma facendo questo lavoro abbiamo capito l’importanza del cosiddetto brand, ossia del marchio e della capacità di conquistare sbocchi commerciali. Quindi utilizzare le capacità professionali con piccole aziende che lavorano in proprio, con una produzione di qualità particolarmente legata al casual e, soprattutto, con un marchio comune che richiami il nostro territorio, che ha un grande valore aggiunto».
«Per non generare confusione è bene chiarire che la politica e le amministrazioni locali non devono realizzare il progetto, ma devono creare le condizioni affinché esso si realizzi – insistono le Rsu -. Ci è stato detto che non poteva essere convocato un Consiglio Comunale solo per la Mabro, che avrebbero dovuto essere invitati anche i lavoratori delle altre azienda in crisi, le organizzazioni sindacali, l’associazione industriali. Eravamo più che d’accordo ed ora aggiungiamo che, se la nostra idea dovesse in qualche modo decollare, dovrebbero essere coinvolte anche le associazioni artigiane, dei commercianti e degli agricoltori, perché riteniamo che prospettive positive esistano per più settori. E’ notizia di questi giorni che un formaggio ed un olio si sono imposti all’attenzione mondiale per la loro qualità. Perché anche qui non si valorizza con un marchio le non poche eccellenze del nostro territorio, aiutando a trovare spazi commerciali?»
«Sappiamo che le nostre considerazioni sono ingenue, che tutto è molto più complesso, ma sappiamo anche che qualcuno deve cominciare a parlare del futuro di questa terra, di mantenere e migliorare un ambiente che molti ci invidiano, legandolo ad una produzione a basso impatto ambientale, con una occupazione che non può essere solo stagionale – concludono le Rsu -. Se vi sono soggetti interessati almeno a ragionare dei nostri ingenui sogni che battano un colpo».