GROSSETO – I lavoratori e le lavoratrici di Abbigliamento Grosseto scrivono al Prefetto di Grosseto Marco Valentini per fare chiarezza sulla vicenda che da mesi interessa la ex Mabro e al tempo stesso ribattere alle accuse di minacce nei confronti delle colleghe che hanno scelto di lavorare. «Siamo costrette a rinnovare la richiesta di fornirci copia della lettera che ci accusa di aver intimidito, minacciato e offeso le nostre compagne che hanno scelto di lavorare. Vede signor Prefetto – scrivono i dipendenti di Abbigliamento Grosseto -, abbiamo indetto una assemblea permanente per far conoscere la disperazione di chi è da quattro mesi senza retribuzione, per il nostro diritto ad avere un futuro, se ci battiamo per i nostri diritti dobbiamo riconoscere quello di chi vuol continuare a lavorare, ma non possiamo più permettere che menzogne danneggino non solo le nostre persone, ma quello per cui ci stiamo battendo. Abbiamo tentato di convocare una assemblea per chiarire le rispettive posizioni, ma non vi è stata disponibilità. Poi abbiamo visto la dichiarazione su Facebook della rappresentante della Cisl, che lei ha conosciuto, ed abbiamo capito che manca la volontà di trovare una soluzione».
«Non è assolutamente vero che chi entrava veniva offeso e minacciato, che chi ha scelto di lavorare entrava ed usciva in gruppo per proteggersi. Lo possono testimoniare giornalisti, fotografi, guardie giurate, poliziotti e carabinieri – proseguono i dipendenti -. Non è vero che a causa nostra si sono persi i lavori di Armani e Vuitton, è avvenuto tutto prima dell’inizio degli scioperi, basta confrontare le date. Vero è che questa azienda, ha perso lavoro e credibilità lavoro a causa di Barontini, è stata condannata per comportamento antisindacale, ha pendente un’altra procedura per lo stesso motivo, che ha provato a comminare, inventando le motivazioni, sanzioni disciplinari ad una nostra rappresentante, e nel periodo di assemblea permanente ha chiamato e richiamato polizia e carabinieri senza motivo alcuno e ha inventato un poco credibile furto di chiavi».
«Ora anche delle nostre compagne si prestano ad essere usate contro di noi – concludono i dipendenti -. Questo non possiamo permetterlo, quindi Le chiediamo di farci avere la lettera per verificare con i nostri legali la possibilità di tutelare dinanzi a un giudice il nostro nome e, soprattutto, per non far infangare con le menzogne la lotta che abbiamo sostenuto per il nostro e loro futuro. Ribadiamo di nuovo che le colleghe hanno il diritto di pensarla diversamente da noi e quindi di continuare a lavorare sino a quando lo riterranno opportuno. Nessuna di noi impedirà l’esercizio di questo del loro diritto, ma pretendiamo il rispetto della verità»