ALBERESE – Si sentono esclusi da tutto gli allevatori del Parco della Maremma che continuano a subire «ingenti danni alle colture» causati da animali, ungulati e selvatici. All’inizio del 2013 ci fu un incontro su questo tema a cui parteciparono oltre agli agricoltori le associazioni di categoria, in quell’occasione gli agricoltori fecero alcune proposte: di ripristinare tutte le fonti d’acqua naturale esistenti nel territorio del Parco da nord a sud; di creare colture a perdere così come recuperare quei coltivi che negli anni sono rimasti fermi; di intervenire con una immediata manutenzione a quelle poche e vecchie recinzioni esistenti sul territorio del Parco; di consentire una preziosa e risolutiva gestione delle “catture” degli ungulati affidandola a noi agricoltori del Parco poiché finalmente riconosciuti con nostro inconfutabile ruolo di valore aggiunto rispetto sia alla territorialità del Parco che alla problematica trattata in quanto unico vero soggetto, profondo ed intimo conoscitore del proprio habitat naturale, ma al tempo stesso unico purtroppo, concreto soggetto penalizzato e danneggiato dalla “folle”e sconsiderata presenza di ungulati nel territorio del Parco in generale ed all’interno delle proprie proprietà private in particolare.
«Ancora una volta però, come da sempre accade da quando è stato istituito il Parco – affermano gli agricoltori – nulla di fatto. Il nostro sostentamento già di per sé critico anche per l’essere proprietari di terreni che insistono in un sistema Parco riconosciuto a livello Europeo ma che purtroppo però non è mai, nei numeri e quindi nella sostanza, riuscito ad essere un vero valore aggiunto per l’agricoltore che lavora i propri campi, sta crollando definitivamente. Il territorio del Parco non ha più agricoltura e molti hanno abbandonato i propri coltivi diventando cittadini. Noi non abbandoniamo le nostre terre e se per ottenere ciò che ci spetta dobbiamo alzare nuovamente le barricate per le nostre famiglie, per noi stessi, per le nostre proprietà, per la Maremma, oggi più che mai disperati, siamo pronti».