FOLLONICA – Francesco De Luca, amico di Don Enzo e giovane consigliere comunale di Follonica ricorda la figura del parroco scomparso ieri prematuramente nella città del Golfo (nella foto la Chiesa di San Leopoldo a Follonica dove è stata allestita da ieri la camera ardente di Don Enzo e dove domani mattina mercoledì 16 gennaio si terranno i funerali alle 10).
«Don Enzo, o semplicemente Enzo, come tutti lo chiamavamo, sembrava ai miei occhi di adolescente una persona speciale. Quella specialità data da quel fumo di sigaretta che accompagnava a lente boccate il ritmo delle sue profonde riflessioni sull’Uomo nei lunghi inverni giovanili; sì perché prima di tutto , diceva lui, al di là delle differenze culturali, politiche, religiose, c’era l’uomo nella sua bellezza così ordinaria da sembrare straordinaria.
La sua antropologia – parola che a 15 anni mi appariva astrusa e affascinante – stabiliva il primato dell’essere umano prima di ogni discorso sulla fede. Questa in sintesi la sua grande narrazione ad un gruppo acerbo di adolescenti, una narrazione che continua oggi nella nostra memoria e che è stata il più grande dono che ci ha trasmesso. Enzo non si stancava mai, parlava di San Tommaso, della Scolastica, dei teologi del Novecento, della psicanalisi, del marxismo, citava in ebraico e in greco, in una eterno, affascinante , infinito racconto sulla centralità dell’Uomo.
Aveva sempre con sé sempre un libro rosso dalla copertina sdrucita, curato da un autore tedesco, dove c’era la versione greca e latina del nuovo testamento; e poi la lezione su don Milani, la scoperta di Barbiana e la nuda spiritualità di Carlo Carretto, il deserto per trovare Dio; Enzo era tutto questo, ma soprattutto un amico, in un tempo in cui gli adulti ci imponevano un modello unidimensionale di vita, lui sapeva, come un illusionista, stupirci e comprenderci, ma anche indirizzare i nostri pensieri verso rive e sponde per noi inimmaginabili e misteriose. In direzione ostinata e contraria, sollevava dubbi e frantumava certezze, si prendeva gioco delle convenzioni sociali e, come un detective preciso e puntiglioso, ti inchiodava alla eterna e complessa ricerca di te stesso e di dio. Infine ci ha insegnato, che la forma più alta di carità è la politica e l’impegno nella comunità in cui si è nati.
Quell’impegno che lo vedeva stare con noi a parlare fino alle cinque del mattino per poi svegliarsi alle sette con un grosso maglione blu e un termos di caffè in corpo, perché doveva dire messa, perché doveva confessare o ascoltare qualche anima smarrita. Con lui se ne va un pezzo di anima di Follonica e la parte più profonda e meravigliosa della mia adolescenza. Ma resta forte (come diceva lui) la radicale testimonianza cristiana e laica di una persona che ha speso le sue infinite energie per la sua chiesa, per i suoi fedeli. Per i suoi giovani. Prima ancora che per Gesù. Ma siamo tutti convinti che se qualcuno c’è, da qualunque parte questo sia, l’avrà certamente già perdonato».