di Piero Simonetti
GAVORRANO – Lasciata la divisa militare, Giuseppe Bandi tornò a Firenze, ove risiedeva la famiglia paterna. Poi si stabilì a Livorno e qui nel 1871 fondò, insieme ad un gruppo di amici, il quotidiano La Gazzetta Livornese. Il 29 aprile 1877 uscì il primo numero de Il Telegrafo, altro giornale fondato da Bandi ed ancora oggi esistente con il nome de Il Tirreno.
Con questi due giornali egli diventò un personaggio importante e di spicco nella vita sociale e politica di Livorno. Fu scrittore pungente, criticò spesso il governo centrale, difese con impeto le classi meno agiate e più povere. Non esitò a condannare la trascuratezza dei parlamentari e dei politici, colpevoli a suo avviso di non occuparsi dei veri problemi dello stato sociale. In altre parole, Giuseppe Bandi proseguì la sua battaglia di vero garibaldino, usando la penna al posto della spada.
Nel tempo in cui il Bandi diresse i due giornali livornesi, le polemiche politiche furono intense: i monarchici erano in lotta coi liberali; i radicali contri i democratici; i socialisti erano affannati con le varie divisioni esistenti al loro interno; gli anarchici erano invece contro tutti gli altri. E le battaglie politiche diventarono assai cruente, essenzialmente tramite i giornali di partito e dalle colonne dei giornali fiancheggiatori.
Giuseppe Bandi subì due attentati. Una prima bomba esplose negli uffici della redazione giornalistica il capodanno del 1889. La seconda bomba esplose nei pressi della sua abitazione il 22 marzo 1893.
Nel febbraio 1894 Giuseppe Bandi riceve una lettera a firma di un sedicente Comitato Esecutivo Anarchico. Eccone il testo:
“Signor Bandi, contrario alle nostre istituzioni facciamo un avviso umanitario a voi, per via eccezionale vi si avvisa pregando (e non è uno scherzo) di smettere di prendere in tanta leggerezza i moti e i fatti che giornalmente succedono. Da ora, dato che l’avviso vi viene scritto, voi siete stato preso in considerazione e si sta facendo il vostro processo. Forse non avendo noi le patrie galere, verrete – ove voi seguitiate – condannato inesorabilmente alla morte.”
Il Bandi non si intimorì, anzi accentuò il suo atteggiamento ostile nei confronti degli anarchici e della loro dottrina. Il 24 giugno, l’anarchico italiano Sante Caserio colpì con il pugnale il presidente francese Carnot, uccidendolo.
Giuseppe Bandi scrisse due articoli su questo grave fatto, accusando il movimento anarchico di instillare l’odio nelle masse a danno del confronto delle idee. Quello pubblicato il 27 giugno 1894, intitolato “Sulla bara di Carnot”, suonò per lui come condanna a morte.
Era il primo luglio 1894. Bandi venne ucciso dalle coltellate di un anarchico mentre si stava recando in redazione. Due ore dopo l’attentato, Giuseppe Bandi morì. Erano le dieci e mezza di domenica 1 luglio 1894.
Giuseppe Bandi lasciò la moglie Virginia di 49 anni ed i figli Ivo, ufficiale medico; Guido, 22 anni ed impiegato alla Banca d’Italia; Adriano, studente in collegio; Emilia, coniugata con l’amministratore dei due giornali Vittorio Vigo; Matilde, nata nel 1880 e purtroppo muta fin dalla nascita.
L’anarchicoOreste Lucchesi, esecutore materiale dell’omicidio, morì il 15 ottobre 1904 nello stabilimento penale di Nisida (Na).
Il corpo del garibaldino gavorranese riposa nel cimitero monumentale di Livorno.