di Silvano Polvani e Maurizio Orlandi
Terza Parte – A causa del carattere prettamente maschile dell’attività mineraria e della mancanza di impieghi alternativi stabili per le donne, sussisteva nella vita sociale del paese una rigida separazione tra i due sessi. Si può dire anzi che in generale, le attività del tempo libero costituivano una prerogativa per i soli uomini in quanto vigeva nella mentalità e nella cultura della comunità mineraria un’esplicita emarginazione delle donne. A parte le feste più importanti, come le serate danzanti, le fiere ed i mercati, cui partecipava tutta la popolazione, qualsiasi iniziativa o interesse, soprattutto se coincideva con il turno di lavoro del marito, veniva considerato negativamente. Nell’ambito della divisione del lavoro comunemente sancita infatti, il compito delle donne rimaneva esclusivamente quello delle “faccende di casa“, senza altre possibilità di autonoma partecipazione alla vita sociale.
I luoghi di ritrovo più comuni per le mogli dei minatori erano la Fonte e la Chiesa. Il primo in particolare, dove si conveniva per il rifornimento dell’acqua e per il lavaggio del bucato, era da tutti conosciuto come il centro in cui le donne del paese si scambiavano e creavano le notizie della cronaca minuta. La Chiesa, poi, rappresentava per le donne un momento di evasione e di socializzazione che segnava una significativa divergenza di interessi con gli uomini.
I minatori di Gavorrano infatti, come del resto quelli di tutti gli altri paesi minerari della Maremma, non erano assidui frequentatori delle chiese ed anzi erano portati a considerare la pratica religiosa ed i preti proprio come “ cose da donne “. Un tale comportamento tuttavia, non aveva mai raggiunto forme estreme e tutti, chi più chi meno, rispettavano l’autorità religiosa, facevano battezzare i propri figli e contraevano matrimonio nella chiesa del paese.