di Piero Simonetti
Gavorrano – Quel pomeriggio del 11 giugno 1981 molti erano ancora a tavola per il pranzo, quando il telegiornale dette la drammatica notizia del piccolo Alfredino Rampi, il bimbo che era scivolato, verso le 19 della sera prima, dentro ad un pozzo artesiano profondo 67 metri e con 30 cm di diametro massimo. Il piccolo si era fermato inizialmente a 35 metri di profondità.
La notizia riempì tutti di profonda emozione e circa 20 milioni di italiani seguirono le dirette Rai di quei giorni, confidando in un esito positivo della vicenda.
Vigili del fuoco, esperti del C.A.I., squadre di soccorso e tantissimi altri volontari si attivarono senza sosta per tirar fuori quel bambino e salvargli la vita.
Durante i primi tre giorni furono fatti diversi tentativi e messe in atto molteplici idee per recuperare il bimbo ancora vivo.
La disorganizzazione e la mancanza di un adeguato coordinamento durante i primi giorni, le varie perforazioni laterali al pozzo artesiano fatte con un certo pressapochismo, la scarsa conoscenza del sottosuolo e delle sue caratteristiche, risultarono tra le cause del fallimento nelle operazioni di salvataggio di Alfredino. Difatti il bimbo scivolò più volte dai 35 metri iniziali fino ad oltre 60 metri di profondità.
Dopo la dichiarazione di morte presunta e l’immissione di gas refrigerante (azoto liquido a meno 30°C) per assicurare almeno la conservazione del corpicino, vennero chiamati i minatori di Gavorrano che recuperarono la salma alle prime ore dell’alba del 12 luglio 1981.
Se le autorità competenti si fossero servite con maggiore tempestività delle esperienze dei minatori gavorranesi (in merito alla tipologia del sottosuolo, alle vibrazioni trasmesse al bimbo dalle trivelle troppo vicine, all’impiego di certi macchinari, ecc.) , forse – e ripeto, forse – l’esito finale di quella drammatica vicenda poteva essere diverso (a fianco nella foto il cantiere di Vermicino – Foto da L’Unità).
Una certa evidente improvvisazione nei soccorsi iniziali, non giovò certamente alla salvezza di Alfredino Rampi (nella foto a destra).
Il corpicino venne localizzato e recuperato dai minatori a 62 metri di profondità.
I minatori di Gavorrano vennero perfino rimbrottati da alcuni tecnici presenti sul posto circa i metodi decisi per lo scavo della galleria. Ma essi non se ne curarono e, scuotendo il capo, proseguirono comunque secondo la loro esperienza, acquisita in decenni di sottosuolo nelle miniere gavorranesi.
Peccato che il piccolo Alfredino non li abbia potuti conoscere e salutare da vivo.