Giuseppe Bandi, il Risorgimento, l’Unità d’Italia: l’omaggio del Giunco.net al nostro concittadino
di Piero Simonetti
Gavorrano – Sicuramente Giuseppe Bandi (nella foto nel 1859 quando era un giovane ufficiale di 26 anni) incamerò, senza saperlo, un aspetto fondamentale del carattere dei gavorranesi, ossia la caparbietà. Una caratteristica che lo ha poi accompagnato in ogni azione della sua esistenza.
Perfino la mano assassina dell’anarchico Oreste Lucchesi – che uccise Bandi il 1 luglio 1894 – venne armata dalla caparbietà della penna con cui Bandi attaccò, nei suoi giornali, l’altro vile attentato ai danni del presidente francese Sadi Carnot, ucciso anch’egli da mano anarchica cinque giorni prima, il 27 giugno dello stesso anno.
Giuseppe visse nella comunità di Gavorrano fino all’età di 14 anni, quando ancora era lontana la scoperta della pirite e la conseguente epopea mineraria. Nacque infatti nel 1834, secondogenito di Agostino Bandi ed Emilia Mazzinghi. Il padre, avvocato, era a Gavorrano a ricoprire il ruolo amministrativo di Podestà fin dal 1832. Successivamente la famiglia Bandi lasciò Gavorrano per Portoferraio ed altre destinazioni, legate alla carriera professionale del padre.
Il paese viveva essenzialmente del lavoro dei campi e del poco artigianato esistente. La mattina presto la gente partiva diretta al vasto piano, in compagnia del proprio mulo. Nei corbelli addosso alla schiena del quadrupede, qualche attrezzo, la fiasca dell’acqua ed il pane, un poco di vino ed una fetta di quel pezzo di lardo, appeso da tempo al trave nell’umida stalla sotto casa.
Mi piace immaginare il fanciullo Giuseppe Bandi che scorrazza nei vicoli del centro medievale insieme ai suoi amichetti, correndo dietro al malcapitato gatto in via delle Logge e poi per vicolo delle Rose, via di Mezzo, fino a giungere in piazza ove si affacciavano, allora come oggi, la chiesa ed il palazzo pubblico. Un bimbetto spigliato e vivace, insomma.
Spesso mamma Emilia lo sorprendeva seduto sui gradoni della chiesa, mentre sfogliava qualche libro preso di nascosto dalla biblioteca del babbo. Giuseppe si soffermava estasiato sulle scene di battaglia o su quelle di eroici combattimenti, preso nella propria immaginazione come se partecipasse direttamente alle vicende illustrate sotto i suoi occhi.
(sopra Giuseppe Bandi nel 1884)
Gli studi ginnasiali ed universitari furono poi determinanti per la sua definitiva formazione. Divenuto attivista mazziniano e fervente cospiratore, Giuseppe si collocò in prima linea nella lotta al potere straniero. Fu un leader indiscusso della sua generazione e conobbe anche il carcere al Poggio Falcone nell’Isola d’Elba.
E della sua costante iniziativa, nonché della sua lucidità patriottica, ne è esempio e conferma (tra le varie vicende della sua esistenza) il Palio di Siena del 4 luglio 1858.
Giuseppe Bandi architettò, insieme ad altri, quasi l’impossibile nel delicato meccanismo della corsa senese, affinché fosse penalizzata la contrada della Tartuca (che aveva la bandiera giallo/nera, stessi colori dell’Austria) e vincesse il cavallo dell’Oca, la contrada che aveva nel proprio stemma la bandiera verde/bianca con striscia rossa. Ed infatti così avvenne, consentendo alla folla di poter sbandierare per tutta Siena le bandiere tricolori dell’Oca vincitrice del Palio, inneggiando “indirettamente”, allo stesso tempo, per la ribellione verso il potere austriaco.
Da poco laureato in Giurisprudenza, Bandi si recò poi a Rimini, presso la sede del comando militare della Divisione Toscana, nel settembre 1859. Fu nella città adriatica che Giuseppe Bandi incontrò Garibaldi per la prima volta. E fu amore a prima vista. Bandi divenne convinto assertore del motto di Garibaldi, cioè “Italia e Vittorio Emanuele”, riconoscendo anzitutto necessario fare l’Italia.
La partecipazione all’Impresa dei Mille, gli eroici combattimenti di Calatafimi e Coriolo, fino alle battaglie conclusive del Volturno e di Capua, la sua partecipazione alla battaglia di Custoza nel 1866, misero in risalto le sue capacità di soldato e di valido stratega militare.
Nel 1870 Giuseppe Bandi lasciò la vita militare e si stabilì a Livorno, ove vivevano tantissimi suoi amici delle lotte mazziniane, tra cui la nota ed eroica famiglia degli Sgarallino.
Nella città labronica Bandi fondò due giornali, la Gazzetta Livornese e Il Telegrafo (oggi Il Tirreno), diventando così personaggio di spicco, alle cui valutazioni ed opinioni la città intera faceva riferimento.
E Giuseppe continuò ad essere garibaldino anche sulla carta stampata, con lo stesso piglio con cui aveva incitato alla carica verso i Borboni in Sicilia o verso gli austriaci a Custoza.
Seppe difendere i deboli e le fasce più misere della società italiana, non lesinando forti critiche ai governanti d’allora e mettendone allo scoperto abusi di potere ed interessi di classe.
L’anarchico Oreste Lucchesi pugnala a morte Giuseppe Bandi (1 luglio 1894, Livorno)
Ritengo sia cosa buona tramandare le memorie di tutti quelli che, con le opere del braccio e dell’ingegno, vollero far grande, libera ed una, l’Italia. Tra i moltissimi che immolarono la propria vita per questi ideali, il gavorranese Giuseppe Bandi occupa un posto di rilievo. La sua fortezza d’animo, l’intrepido coraggio unito alla sua vasta cultura, fecero sì che Garibaldi lo nominasse suo Segretario di Campo durante l’impresa dei Mille.
Quanti oggi affermano di amare l’Italia, dovrebbero sentirsi sollecitati dal ricordo del Bandi, ad impegnarsi di più su tutti i fronti del vivere civile, affinché vengano spente quelle crescenti e irriverenti intenzioni a dividere ciò che il Risorgimento Italiano ha invece unito.