a cura di Gian Luca Bonucci
GIUNCARICO – Conoscere la storia del proprio paese, attraverso la lettura di vecchi documenti, vecchi libri, è stata una prerogativa del nostro amato giornalino.
È grazie a questo interesse, e dopo svariate ricerche, siamo riusciti a vedere realizzato un nostro sogno, far dipingere nella nostra piazza un affresco, per mostrare a tutti quelli che verranno a visitare il nostro paese, un po’ della nostra storia.
Infatti, l’affresco rappresenta la sottomissione spontanea di Giuncarico nei confronti di Siena.
L’originale di questo affresco si trova nella Sala del Mappamondo del Palazzo Pubblico di Siena, nella parete di fronte alla Maestà di Simone Martini, dove si trova il Guidoriccio da Fogliano (sempre di Simone Martini).
La presa del castello di Giuncarico: nella foto l’affresco che si trova nella Sala del Mappamondo del Palazzo Comunale di Siena
Questo affresco, venne scoperto casualmente nel 1980, ed aveva subito suscitato un grosso interesse fra gli storici dell’arte, soprattutto per l’alta qualità del dipinto del quale era ignoto l’autore e per la scena raffigurata.
Si sapeva, infatti, dai documenti, che il Comune di Siena, intorno al 1314 e poi nel 1330-31, aveva dato incarico di raffigurare in questa sala, che era un po’ la sala di rappresentanza del Comune, i Castelli che possedeva per illustrare e celebrare le sue conquiste.
Il castello dell’affresco riscoperto, dopo molti studi, è appunto quello di Giuncarico, la cui rappresentazione fu deliberata dal Consiglio Generale il 30 Marzo 1314 dopo che il sindaco di Giuncarico, Nello di Paganello, ne aveva fatto sottomissione spontanea a Siena.
Quanto poi all’attribuzione di questo dipinto, per il quale i documenti non fanno riferimento dell’autore, erano stati fatti vari nomi, però l’attribuzione più convincente e accettata sembra essere quella che ha attribuito la raffigurazione di Giuncarico alla mano di Duccio da Boninsegna.
Questa in sintesi è la storia dell’affresco di Giuncarico, ma un articolo ben ricco di notizie venne pubblicato nel giornalino “Il Giunco”, nel settembre del 1999, e dove veniva spiegato, in modo dettagliato, quali furono le motivazioni che portarono gli studiosi ad affermare che quel castello era Giuncarico.
Nel 1980-81, quando venne restaurato il famoso affresco, nel Palazzo Pubblico di Siena, “La presa di Montemassi da parte del comandante Guidoriccio da Fogliano”, venne scoperto, immediatamente, un ulteriore dipinto, fino ad allora sconosciuto, che è stato da subito oggetto di discordanti pareri circa l’identificazione, sia dell’autore, che del castello rappresentato.
Alcuni studiosi lo hanno paragonato ad Arcidosso, altri a Sticciano, altri ancora a Castel del Piano, ma il con- tributo più significativo è quello di Max Siedel, che in un articolo della rivista “Prospettva”, del 1982, identifica il castello rappresentato con il paese di Giuncarico, basandosi su considerazioni di carattere storico- artistico, così riassumibili : il “nostro” affresco è sulla stessa parete del più noto “Guidoriccio”, ed in un certo punto è da questo coperto, quindi la logica conseguenza è che sia stato di- pinto prima.
Dai documenti sappiamo che Monte- massi fu dipinto da Simone Martini nel 1330 (la data sulla cornice dell’affresco, che è del 1328, si riferisce al- la presa militare) e l’unico castello ad essere dipinto prima del 1330 , tra quelli conquistati dalla Repubblica Senese è proprio Giuncarico. Esistono due documenti del marzo del 1314 in cui Nello di Paganello, sindaco di Giuncarico, fa atto di sottomissione spontanea al Comune di Siena, senza pressioni militari.
Queste circostanze sembrano rispecchiate iconograficamente nell’affresco, i cui i due personaggi, sulla destra, sono rappresentati in atteggiamento pacifico: inoltre le porte del castello sono aperte, segno di una resa spontanea. La simbologia delle immagini era molto importante nel ‘300, periodo in cui ad essa era affidato anche un alto valore giuridico, al pari di un documento scritto. Se la figura di destra avesse rappresentato un atto di sottomissione, in seguito ad un conflitto violento (come fu ad esempio la presa di Arcidosso, in cui oltre allo spiegamento di quattromila soldati, si costruirono due imponenti strumenti da guerra, i “battifolli“, e si scavò un passaggio sotterraneo fi- no al cassero) avrebbe avuto una po- stura inginocchiata di fronte al vinci- tore, secondo l’iconografia del tempo.
Fin qui la ricostruzione di Max Siedel : ma lo studioso ritiene di non poter confrontare facilmente l’affresco con l’attuale paese di Giuncarico, dati i cambiamenti subiti nel corso di sei secoli e in seguito alla distruzione che della rocca subì nel 1314.
Vi è però un ulteriore indizio : dai documenti sappiamo che Giuncarico nel 1314 non era protetto da mura possenti, ma da una semplice palizzata, proprio come quella affrescata. Non abbiamo documenti, invece, che ci indichino l’autore dell’opera, tuttavia un illustre studioso, Luciano Bellosi, ritiene l’affresco dipinto da “Duccio da Boninsegna”.
Abbiamo cercato di dare un ulteriore sviluppo alla ricerca, facendo una, seppur sommaria, lettura delle testimonianze architettoniche superstiti di Giuncarico, osservando soprattutto le strutture rappresentanti la sfera civile (palazzo signorile) e la sfera religiosa (edificio ecclesiastico), che sono anche gli elementi caratterizzanti l’affresco.
Partendo dal “Cassero”, che non è difficile individuare nell’edificio con base a scarpa, situato a nord-est, prospiciente via del Montaccio, precedentemente via del Castello (come si vede nella foto), si possono notare, proprio su questo lato, delle similitudini con il palazzo dell’affresco, così riassumibili:
a -) Presenza di una porta sormontata da un arco tamponato;
b -) Presenza di due finestre al secondo piano;
c -) Presenza di una cornice in cotto marcapiano;
d -) Edificio sul lato sinistro del cassero (torre dimezzata in altezza?).
L’edificio attuale, come si è già detto, ha un muro a scarpa, non risultante nel dipinto, tuttavia ciò potrebbe essere il frutto di una approssimazione della resa del castello o anche un aggiunta successiva. Il confronto quindi ci sembra tollerabile anche se la struttura che abbiamo paragonato ad un torre, non ha molti elementi confrontabili, data la sua scarsa leggibilità.
Se si passa all’osservazione dell’edificio ecclesiastico, diventa più difficile quale delle due chiese presenti nel paese sia la più attinente alla rappresentazione senese.
La chiesa di Sant’Egidio è tuttora esistente, mentre quella di San Giusto, è divenuta contenitore di un orto sopraelevato. Sul lato prospiciente via Roma è possibile scorgere, sul muro di detto “orto”, il tamponamento di una apertura elevata rispetto al livello stradale. Da una sommaria indagine “dell’orto pensile”, è possibile scorgere, sul lato opposto alla parete, che si affaccia sulla strada, parte di tre pilastri, le imposte di tre archi e forse tracce di intonaco affrescato : attraverso l’apertura di un arco si accede ad una stanza voltata a crociera. Altri elementi visibili non sono stati riscontrati, ma quelli presenti sembrano concordare con una descrizione del 1734, in cui la chiesa viene definita come una costruzione lunga 24 braccia e larga 12, con il tetto ad archiacuti. Nella stessa descrizione si definisce la chiesa umida perché confinante nella parte dell’evangelico con un orto. Attualmente questo orto esiste ed è rivolto verso la porta di “Ravi”, quindi qui si doveva trovare l’abside. Soltanto verso la metà del XVIII secolo la chiesa di San Giusto cederà la dignità plebana alla chiesa di Sant’Egidio, per finire sconsacrata nel 1786. A questo punto la chiesa di SanGiusto rimane l’unica attiva nel paese, anche se esistente già dal XIII secolo.L’osservazione visiva relativa della chiesa di San Giusto è molto limitata per offrire un paragone possibile con quella affrescata, date le sue condizioni alquanto alterate. Gli unici fattori considerabili sono :
a-) Presenza di una porta tamponata sul lato prospiciente la strada;
b -) Mancanza di allineamento con il cassero (ovvero la chiesa ed il cassero del paese non hanno la stessa posizione di quelli affrescati).
La chiesa di Sant’Egidio invece è maggiormente confrontabile perché, nonostante abbia subito vari rimaneggiamenti, la sua struttura è ancora leggibile, si possono notare quindi le seguenti similitudini :
a -) Sul lato prospiciente via Roma, presenza di una porta con arco tamponata;
b -) Presenza di finestre con tipologia formale, avvicinabile all’affresco (sono però cinque invece di tre);
c -) Chiesa ad una sola navata;
d -) Presenza di una struttura a pianta quadrangolare, visibile dalla mappa catastale: la struttura si lega alla chiesa sul lato ovest, l’identificazione con l’antico campanile è molto azzardata, data la scarsa conoscenza della sua storia. Il campanile attuale si trova invece sul lato opposto rispetto a quello affrescato.
Provando dunque a trarre delle conclusioni, basate su quello che abbiamo scritto in questo artico- lo, si può dire che le due chiese risultano posizionate con orienta- menti diversi rispetto all’affresco. Se si considera la chiesa di Sant’Egidio, il pittore potrebbe aver guardato le due strutture (cassero e chiesa) da due punti di vista diversi, il cassero per esempio si può vedere molto be- ne dalla strada che esce dal paese dalla porta adiacente alla chiesa, all’altezza dei “vecchi lavatoi”, mentre per disegnare la chiesa potrebbe essersi spostato, ruotando la sua posizione fino a vedere l’edificio sul suo lato a valle. Rimane tuttavia il problema dell’abside non corrispondente nella direzione.
Queste poche osservazioni, appena esposte, non vogliono comunque essere esaustive o convincenti a tutti i costi, ma soltanto uno spunto per allargare ulteriormente questa ricerca, con l’invito a chiunque voglia, ad aggiungere nuove informazioni.